Non sempre ce ne rendiamo conto (parlo per chi ha qualche capello bianco), ma siamo nell’era digitale. I nostri figli sono nati nell’era digitale.
Una cosa non semplice, ma questa è la realtà.
Anche la scuola italiana da un po’ di anni sta inseguendo questa nuova stagione, con investimenti di non poco conto, basta dare un’occhiata ai pur magri bilanci, più sulle macchine e sulle strutture che sulla formazione delle persone. Il governo ha attivato un “piano nazionale della scuola digitale”, prevedendo un “animatore digitale” per scuola, con investimenti di rilievo, ma ancora in un contesto per lo più diffidente, sospeso da un lato tra una frenesia in alcuni casi ideologica dei nuovi profeti del “tutto tecnologia”, dall’altro dalla difficoltà, ancora oggi, di corrispondere con un “pensiero pensante” alle nuove sfide culturali e psico-sociali.
Basta vedere i nostri ragazzi come crescono con pane e cellulare, ma anche noi stessi, incapaci di staccarci, per un attimo, dai nostri aggeggi elettronici. Tutti sempre connessi, forse per paura di ritrovarci da soli a reggere la scorza dura della realtà.
Le nuove tecnologie, lo vediamo con i nostri occhi, hanno già influenzato la formazione, le nostre relazioni, il mondo del lavoro, i tempi e la qualità della nostra vita.
A scuola, ad esempio, la digitalizzazione sta cambiando velocemente il modo di approccio degli insegnanti, non sempre, come tutti noi, preparati a fare i conti con queste generazioni di nativi digitali. Anche il mio Liceo ha iniziato, in alcune classi, a utilizzare i libri di testo e il materiale didattico in formato digitale. Un tablet, oggi, può contenere centinaia di e-book, perché rinunciare a questa opportunità?
Un approccio tecnologico alla didattica, inoltre, può migliorare notevolmente la capacità di apprendimento. Lezioni più snelle, multimediali, movimentate, meno noiose delle classiche lezioni frontali, possono diventare un buon viatico per un accrescimento dell’attenzione degli studenti, per la capacità di comprendere.
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La “digital literacy”, così viene definita nei documenti ufficiali, è una delle competenze-chiave richieste oggi per esercitare la “cittadinanza attiva” nell’ottica di una formazione “life-long-learning”. Termini che sono pane quotidiano per i nostri ragazzi, più che per noi. Un cambiamento così radicale, dunque, non può non coinvolgere quanti operano da “formatori” anzitutto nel mondo della scuola. Resta la domanda: come stiamo, appunto, con la “formazione dei formatori”? E’ evidente che va incentivata, resa accattivante, obbligatoria, ma con forti basi di qualità e di riconoscimento contrattuale.
L’era digitale apre inoltre interessanti scenari di collaborazione tra scuole, con gli enti locali e le associazioni varie, riconducibili sia alla possibilità di sfruttare strumenti di e-learning (videoconferenza, sedute plenarie, lezioni e approfondimenti a distanza), sia alla sperimentazioni e allo scambio di buone prassi. Insieme allo studio delle lingue straniere (magari con docenti madrelingua fin dalla scuola primaria), ritengo che il rafforzamento tecnologico sia una chiave di volta, dato il tempo che viviamo, per migliorare la nostra scuola.
Da ultimo, ma non meno importante, nella rete globale del mercato del lavoro e delle professioni, saper gestire a livello digitale relazioni e rapporti, saprà creare quel ponte fondamentale tra mondo dell’istruzione e mondo delle imprese che è una delle richieste più pressanti che giungono dalle aziende nazionali e internazionali.
Qui non si tratta di fare voli pindarici o di aprire il libro dei sogni, ma di proporre un semplice aggiornamento. Il problema rimane perciò legato alle persone, le quali si devono far persuase che anche la tecnologia va pensata, cioè mediata. Dunque non subìta.
Perché internet e questi aggeggi spingono fortemente sulla via della percezione frammentaria, immediata, ma rischiano, al tempo stesso, di togliere spazio al cuore delle persone stesse, cioè alla mediazione dell’intelligenza, cioè alla regia della propria e comune coscienza. Non ci possono essere formazione e cultura senza la mediazione dell’intelligenza, per cui nessuna tecnologia sostituirà mai il ruolo del docente in classe. Le stesse tecnologie, in fondo, sono e rimarranno sempre degli strumenti, dei meri strumenti.
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