Lauretta Colonnelli pubblica per Marsilio-Arte, “Teatro Andromeda. Storia di Lorenzo Reina, artista pastore che mutò le pecore in stelle”, un testo, con la traduzione inglese a fronte, per ripercorre l’avventuroso viaggio di un pastore siciliano verso il mondo della scultura e dell’architettura, una intuizione (forse perché nelle notti in campagna, senza le luci della città, il buio è molto denso, consentendo così al cielo stellato di insinuarsi dentro l’animo) artistica che sta spostando masse sempre più numerosi di turisti verso la sua creazione, il suo palazzo Andromeda, costruito in oltre trent’anni: un’opera monumentale innalzata nei pressi di Santo Stefano Quisquina (AG) sui monti Sicani.
Andromeda, appunto, in somiglianza della costellazione, dei miti greci e delle passioni arcaiche di questo pastore siciliano, invaghito dei misteriosi universi della creatività.
E qui, fra questi dirupi nel cuore della Sicilia, dove portava a pascolare il gregge, venne proprio il richiamo dell’arte; e dove prima c’era l’ovile, la cosiddetta “mannira” (che troviamo anche nel vocabolario di Camilleri) ora sorge un monumento importante, una costellazione, un universo dentro cui luci e ombre si inseguono e dove è pure possibile ascoltare lo spirito del luogo e l’armonia delle stelle durante la loro peregrinazione per il cielo.
Ma da qui, nei solstizi, pure gli ultimi raggi di sole si insinuano fra precise feritoie del possente teatro, in somiglianza dei teatri greci ma pure delle fortificazioni celtiche inglesi, per fissare la luce su calici scolpiti sulla roccia, mentre la vista del visitatore precipita sulla valle, al di sotto della collina dove s’erge alto e maestoso il tempio di pietra.
Ma come avrà fatto un pastore a realizzare tanto? Seguendo l’istinto, fa capire Colonnelli nel suo libro, tallonando una sorta di personale spirito guida, la sua visionarietà e la fantasticheria artistica, evocando inconsciamente le metamorfosi annuncite da Zarathustra: l’eterna creatività del fanciullo che si accomuna alla perenne trasformazione della sua opera.
Un teatro annunciato al viaggiatore da giganti sculture dalle orbite vuote rivolte all’orizzonte o dai volti curiosi ma con l’orecchio sulla terra per sentire il battito del mondo e i sussurri delle erbe, sculture di pietra collocate accanto al suo teatro per segnalare quasi i riti propiziatori che più avanti si stanno per compiere.
Da qui anche le riflessioni dell’autrice: Lorenzo ha pensato di sostituire le pecore con le stelle e di trasformare un teatro in astronave, per immergersi nello spazio infinito e proiettarsi nel tempo futuro oltre che in quello passato.
E da qui anche il nostro invito, rivolto alle scuole, di visitare questo spazio magnifico, in un confronto con gli orizzonti che dalla vetta si respirano e pure con le suggestioni che queste pietre, collocate con sapienza ancestrale, senza dunque studio accademico, riescono a trasmettere al viaggiatore che di sapienza vuole nutrirsi, almeno nello spazio di tempo che tale visita merita.
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