Il video mostrava un ragazzino disabile insultato e picchiato da alcuni compagni di scuola in un istituto tecnico di Torino e nella sua requisitoria, il Pg ha parlato di “omesso controllo per fare profitto” da parte di Google.
”Non solo è stata violata la privacy del minore, ma sono anche state date lezioni di crudeltà ai 5.500 visitatori che hanno visto il video”, ha detto il giudice per il quale i tre responsabili di Google imputati dovevano ”effettuare un controllo sui dati caricati in rete, un controllo preventivo che avevano la possibilità di fare e che non e’ stato fatto per ragioni di costo, un controllo che infatti avrebbe rallentato l’azione di Google sul mercato dei video che era in forte espansione”.
Nel febbraio 2010 il giudice Oscar Magi aveva condannato i tre manager stabilendo, in sostanza, che c’era stata una carenza di informazione da parte di Google in relazione al consenso sul trattamento dei dati. Il pg, invece, va oltre e spiega che gli imputati sarebbero responsabili ”non per la mancata informazione, ma per una mancanza di controllo preventivo, che non è stato fatto a fini di lucro perchè il video era una fonte di guadagno”.
Quel video, ha aggiunto il magistrato, non poteva essere diffuso perchè tra l’altro ”conteneva dati sensibili relativi alla salute del minore”. In primo grado un quarto imputato, accusato solo di diffamazione, era stato assolto e la diffamazione era caduta anche per gli altri imputati. Adesso il sostituto pg ha chiesto il non doversi procedere nei confronti del quarto imputato, perché sia l’ associazione ‘ViviDown‘ che i familiari del minore hanno ritirato la querela in passato.
La replica dei legali di Google non si è fatta attendere: “E’ colpa degli insegnanti”. Se c’era qualcuno che aveva ”l’ obbligo giuridico” di vigilare non era certo Google, ma “era la professoressa di quell’istituto tecnico di Torino dove il minorenne disabile venne insultato e vessato dai suoi compagni di scuola che riprendevano le angherie, poi caricate in Rete”, ha spiegato l’avvocato Giuseppe Vaciago.
Tra i difensori dei responsabili del motore di ricerca c’è anche l’avvocato e parlamentare, Giulia Bongiorno, la quale, davanti ai giudici della Corte d’Appello, ha chiarito che i tre imputati sono stati condannati in primo grado (sei mesi, con sospensione della pena) in base a un obbligo informativo sul trattamento dei dati ”che non è previsto nel nostro ordinamento”. La sentenza è attesa per il 21 dicembre.
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