In tempi di emergenza sanitaria, con le attività didattiche sospese e l’impossibilità di spostarsi dalla propria residenza, le scuole corrono ai ripari nell’intento di offrire agli alunni delle attività formative, sia pure per mezzo di soluzioni telematiche.
Operazione lodevole, anche se occorre stare molto attenti sia sotto il profilo educativo sia sotto l’aspetto delle condizioni contrattuali proposte dalle diverse piattaforme online. Alcune delle iniziative che in questi giorni si stanno attuando in molte scuole italiane, infatti, palesano criticità di una certa rilevanza.
Esistono delle multinazionali del web che offrono piattaforme per attività didattiche online, compreso la possibilità di effettuare videoconferenze con la contestuale presenza di docenti e alunni. Una di queste società, che dispone di un’enorme quota di mercato, pone come condizione per l’accesso ai propri servizi didattici il possesso da parte di tutti i fruitori di uno specifico account di posta elettronica da essa stessa fornito, in assenza del quale è impossibile accedere alla piattaforma.
Attraverso il servizio di posta elettronica – com’è noto – molte aziende del web ricavano una parte rilevante dei loro profitti. Tale supporto tecnologico, infatti, pur essendo gratuito per l’utente, in realtà implica l’accettazione di particolari condizioni, tra le quali solitamente figurano l’inoltro di e-mail pubblicitarie, la visualizzazione di banner promozionali e, soprattutto, la possibilità da parte del provider di entrare in possesso di determinati dati dell’utente. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che rappresenta la parte più redditizia della loro attività. In effetti, sul mercato dei Metadati, queste informazioni hanno un enorme valore e sono oggetto di vere e proprie compravendite.
In questi giorni, molte istituzioni scolastiche, stanno esercitando un’enorme pressione su docenti e studenti affinché si dotino di un account di posta elettronica di una determinata società, la quale detiene una posizione dominante sul mercato. Va evidenziato, tuttavia, che la normativa vigente non preclude alle aziende di raggiungere una posizione dominante, ma vieta l’abuso di tale posizione (articolo 3 della legge n. 287/90). In buona sostanza, non si può condizionare la fornitura di un servizio all’accettazione di un altro non richiesto. Questo tipo di operazione, infatti, indebolisce le aziende concorrenti minori e rischia di estrometterle dal mercato, cagionando di conseguenza un danno ai consumatori.
Le pubbliche istituzioni, pertanto, non dovrebbero prestare il fianco a operazioni di questo tipo, poiché sul mercato esistono numerosi piattaforme open source che offrono servizi di videoconferenza, anche di qualità superiore, alle quali si può accedere liberamente con qualsivoglia account di posta elettronica.
Sarebbe opportuno un intervento dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato al fine di porre un freno a una situazione paradossale, in cui l’azione di alcune istituzioni pubbliche confligge con quella di altre.
Giuseppe Iaconis
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