“Videoscuola per tutti” è il titolo di un servizio che “L’espresso” di questa settimana dedica alle conseguenze dell’emergenza Coronavirus sul mondo della scuola.
Dopo aver letto l’interessante articolo a firma di Francesca Sironi, verrebbe, però, da parafrasare: “quasi per tutti!”.
Il perché è presto detto. Nel servizio vengono anticipati i risultati di un’inchiesta dell’Università di Milano-Bicocca, condotta, nel 2018, su un campione di 3.300 studenti delle scuole superiori di Milano e Monza- Brianza.
Dalla ricerca emerge che il 98,8% dei ragazzi possedeva un cellulare: il 21% di questi lo ha ricevuto in regalo dai propri genitori prima degli 11 anni di età.
Gli autori dell’inchiesta, intitolata” L’età dello smartphone”, sono pervenuti alla conclusione che quanto più basso è il livello di istruzione del contesto familiare, tanto più si riduce l’età in cui i figli hanno ricevuto in regalo il telefonino; sottolineano, inoltre, che gli alunni degli Istituti Professionali ne sono entrati in possesso prima di quelli dei Licei.
Il dato più preoccupante che emerge da tale studio e su cui occorre riflettere è “un’associazione negativa tra l’età precoce di arrivo del primo smartphone” e lo sviluppo di competenze non solo in Italiano, ma anche – sembra paradossale – nell’utilizzo creativo degli strumenti digitali. In pratica, chi riceve uno smartphone a un’età troppo precoce, tende, poi, a utilizzare Internet in maniera passiva, si focalizza su poche funzioni facilmente praticabili che esso veicola e viene distolto da altre attività più complesse che i pc, invece, favoriscono.
Altro dato da tener presente è che “al diminuire dell’età di arrivo dello smartphone diminuisce anche la probabilità che in casa dello studente ci sia anche un pc”.
Se ce ne fosse bisogno, quest’ultimo è un dato confermato dal rapporto Istat, che si riferisce al 2018/2019 e di cui tanto si è parlato nei giorni scorsi, secondo cui il 30% delle famiglie italiane non ha pc o tablet in casa, con percentuali che crescono vertiginosamente al Sud fino ad arrivare al 41%. Nel 57% dei casi, inoltre, i ragazzi devono condividere l’uso del computer con altri fratelli o sorelle o con i genitori impegnati, in questo periodo, nello smart working. L’Istat ci dice pure che soltanto 3 ragazzi su 10 hanno elevate competenze digitali.
Non sembra azzardato concludere, dunque, che un numero piuttosto alto di studenti, dalle primarie alle superiori di primo e secondo grado, sta attualmente svolgendo lezioni di didattica a distanza attraverso uno smartphone, sia perché non possiede un pc sia perché è costretto a condividerne l’utilizzo con altri familiari.
Ben vengano, quindi, i 70 milioni che il decreto Cura Italia ha stanziato per l’acquisto di tablet e portatili, anche se probabilmente non sono sufficienti a risolvere il gap tra chi può avere un dispositivo tutto per sé e chi, invece, non se lo può permettere.
Ma se la scuola o è inclusiva o non è, se la scuola non può e non deve lasciare indietro nessuno, se la scuola non può diventare “un ospedale che cura i sani e respinge i malati” (per ripetere una frase forse un po’ abusata di don Lorenzo Milani) , allora non si può far finta di nulla! Non si può ignorare che molti dei nostri alunni si collegano alle attività della Dad con lo smartphone “tanto è la stessa cosa!”. No, non è assolutamente così!
Consentire in questa situazione l’uso del cellulare significa togliere opportunità a una parte considerevole dei nostri studenti, già svantaggiati dalla condizione socio-economica di partenza, significa compromettere lo sviluppo di competenze nei vari campi del sapere (anche le competenze digitali!), significa ostacolare e non favorire la loro crescita culturale, aggravare la dipendenza dallo smartphone, che già utilizzano a tutte le ore del giorno (e della notte!), significa lasciarli indietro! Questo la scuola e i docenti non possono e non devono farlo, altrimenti si verrebbe meno al nostro compito primario, che, anche nelle situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo, è e rimane sempre lo stesso:“educare” le giovani generazioni, aiutarle a crescere e a diventare persone migliori .
Vanno, pertanto, stigmatizzate quelle scuole che non si sono tempestivamente attivate per garantire in tempi brevi ai loro alunni i dispositivi di cui necessitano per seguire con efficacia le lezioni da remoto, non provvedendo né a consegnare i tablet già in possesso delle stesse istituzioni scolastiche, né velocizzando le procedure di acquisto dei pc, attraverso i fondi stanziati dallo Stato, e di assegnazione in comodato d’uso degli stessi.
Ritardi ingiustificabili e colpevoli omissioni che hanno portato alla deplorevole situazione di studenti che, a tutt’oggi, quando ormai manca poco più di un mese alla conclusione dell’anno scolastico, si vedono costretti a utilizzare il cellulare o, in caso di mancanza di connettività di rete, addirittura non possono partecipare alle videolezioni.
Più che mettere in evidenza i limiti della didattica a distanza, che pure ci sono, ma esulano dal discorso che, qui, preme portare avanti, sarebbe, invece, il caso di coglierne i lati positivi e approfittare dell’occasione per ridurre l’uso degli smartphone e favorire quello dei pc, di fare, come si suol dire, di necessità virtù.
Giuseppe Scafuro