Nel primo caso una studentessa di 31 anni, dopo due lauree quinquennali, in Lingue Orientali e in Giurisprudenza, sta frequentando un PhD in diritto giapponese, in co-tutela Italia-Giappone. Per poter svolgere correttamente il suo progetto di ricerca, che abbraccia due discipline molto diverse tra loro, è stata costretta a studiare per dieci anni presso due Università italiane, pagando quindi circa 20.000 € di tasse universitarie (negli altri Paesi europei, invece, gli studenti possono iscriversi contemporaneamente a due corsi universitari, conseguendo la doppia laurea al termine dei cinque anni). Nel secondo caso uno studente barese tenta di conseguire in contemporanea due lauree, una in giurisprudenza dove gli mancano 10 esami alla fine e l’altra in ingegneria dove tre anni fa superò senza problemi il test d’ingresso.
Anche in questo caso una legge del 1933 proibisce il doppio titolo accademico. In un Paese come il nostro, sempre alla rincorsa delle medie europee sul numero dei laureati e sulle loro competenze, studenti talentuosi come quelli descritti non hanno la strada spianata. Per una legge del 1933 sono vietate le doppie iscrizioni: ogni matricola può entrare in un solo corso di laurea alla volta. Pena la cancellazione di tutta la carriera accademica. Nel frattempo però, mentre in Italia le facoltà restano imbrigliate, è esplosa la moda dei doppi titoli con l’estero.