“Il Governo rottama le LIM”: notizia ormai rimbalzata nei media e nel web, per dirette dichiarazioni dell’esecutivo. Pare che il Ministero intenda bocciare questo strumento, definito anche da Renzi “troppo ingombrante”. Nel documento “La Buona Scuola” si trova la dimostrazione statistica del fallimento digitale, riferibile anche ad un supporto, la LIM, che avrebbe dovuto portare innovazione in tutte le scuole e che invece ha “ipotecato l’uso delle nostre risorse per innovare la didattica…e parzialmente “ingombrato” le nostre classi, spaventando alcuni docenti”.
Questo significa spostare decisamente l’attenzione dal problema reale, che non può limitarsi ad un solo strumento o al suo utilizzo.
Domandiamoci: perché il Piano nazionale scuola digitale (Pnsd) non ha prodotto, in cinque anni e dopo un investimento colossale, l’effetto di disseminazione digitale previsto?
Alcune risposte, dal punto di vista (un filino risentito, lo ammetto…) di chi le tecnologie le ha potute introdurre precocemente e capillarmente, in mancanza di fondi statali, solo grazie a docenti disponibili all’innovazione, all’aiuto delle famiglie, dell’ente comunale e di aziende generose.
Il Pnsd ha promosso delle “nicchie” interne alle scuole, finanziando poche classi, al massimo una per Istituto, oltre alle rarissime scuole 2.0. Ha donato una LIM all’anno, al massimo due, a plessi costituiti da decine di aule. Ha formato un numero esiguo di docenti.
Non ha realizzato quelle che restano delle ottime promesse/premesse: modificare gli ambienti di apprendimento attraverso l’integrazione delle tecnologie nella didattica.
Quali sarebbero dovuti essere i passaggi, nell’ordine? Quale, dunque, la possibile e nuova taratura del piano?
1) ambienti di apprendimento rivisitati in chiave collaborativa e digitale richiedono prima di tutto una revisione della metodologia più diffusa tra i nostri docenti: quella che bonariamente l’ottimo collega Daniele Barca chiama il “frontalone”, cioè una didattica puramente trasmissiva, frontale. Secondo il rapporto Talis 2014, le metodologie collaborative e/o con l’uso delle tecnologie in Italia non superano nella quotidianità il 30%. La causa non sta solo nella mancanza di strumentazione.
2) non tanto nel 2009, quando il piano ha preso avvio, ma oggi, la garanzia di una connessione veloce a tutte le scuole è conditio sine qua non. Questo il rapporto governativo lo ammette senza remore.
3) lavagne interattive in ogni classe, ancora, sì! Perché sono in grado di modificare la didattica, fornendo stimoli audio visivi. Perché inducono anche il docente più refrattario ad aprire gli occhi su soluzioni didattiche più appetibili e vicine ai ragazzi. Perché, tutto sommato, sono facili da usare. Le LIM non sono la soluzione, ma nemmeno il problema.
4) portare la realtà dentro la scuola e non costruirne una fittizia: il BYOD è il futuro. Bring Your Own Device, porta e utilizza a scuola quello che hai a casa. Se un piano nazionale ha l’obiettivo di arrivare rapidamente ad una diffusione del digitale, non c’è che questa soluzione.
5) una normativa finalmente chiara (cioè l’uscita delle famose linee guida) sui testi digitali, che agevoli le scuole e gli studenti. Non sono per l’eliminazione dei testi tradizionali, insostituibile garanzia di contenuti selezionati e validati. Sostengo però la necessità di chiarire meglio come può avvenire l’integrazione con supporti alternativi, con eventuali piattaforme gratuite e collaborative e materiali autoprodotti dalle scuole.
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