“Debutta” quest’anno la nuova disposizione introdotta con D.L. n. 126/2019, secondo la quale i docenti neo assunti sono tenuti a restare nella scuola di titolarità per almeno cinque anni, con espresso divieto non solo di presentare domanda di trasferimento, ma persino di assegnazione provvisoria o utilizzazione.
Secondo i promotori della legge, era necessario bloccare gli spostamenti dei docenti (soprattutto verso le regioni meridionali) a causa dei vuoti di organico nelle regioni del Nord. Tuttavia, la nuova disposizione vieta persino l’assegnazione provvisoria provinciale, che non determina problemi negli organici, essendo del tutto indifferente sotto questo profilo se un docente presta servizio in questa o quella scuola della medesima provincia.
Il vero nodo della questione in realtà è proprio questo.
In teoria, le assegnazioni provvisorie dovrebbero effettuarsi su quei posti che – pur avendo un titolare – di fatto sono disponibili per le operazioni di durata annuale.
Per esempio, nel caso di un docente che abbia un esonero dal servizio, perchè collocato in posizioni di “comando”, oppure impegnato in funzioni pubbliche (parlamentare, sindaco di grandi città, ecc.)
Come si vede, si tratta di situazioni molto particolari e poco frequenti.
La realtà è molto diversa.
Com’è noto a tutti i docenti, il Ministero ha “escogitato” una trovata in base alla quale ci sono due organici, quello di diritto e quello “di fatto”.
In teoria, l’organico di fatto dovrebbe ricomprendere quelle situazioni sopravvenute dopo la predisposizione degli organici.
Per esempio, l’istituzione di una nuova prima o lo sdoppiamento di una classe, divenuta troppo numerosa per l’elevato numero di bocciati.
Ma in realtà, soprattutto nel caso degli insegnanti di sostegno, non si tratta affatto di situazioni sopravvenute o imprevedibili.
Ci sono decine di migliaia di docenti che vengono assunti ogni anno su posti privi di titolare, posti che non vengono “previsti” nell’organico di diritto.
Dunque, l’organico che viene predisposto a livello giuridico non corrisponde all’organico effettivo.
E la differenza non è di qualche manciata di posti, ma di decine e decine di migliaia.
Non inserire nell’organico i posti effettivamente vacanti, porta appunto al fatto che – quando si chiede l’assegnazione provvisoria (che viene appunto disposta sull’organico “di fatto”) – risultano migliaia di posti vuoti, sui quali vengono poi disposte le operazioni di durata annuale.
E, giustamente, i docenti si chiedono per quale ragione – pur essendoci posti liberi sotto casa – sono costretti a lavorare a migliaia di chilometri dalla propria famiglia e dai propri affetti.
Piuttosto che ridisegnare gli organici, cercando di avvicinarli alla realtà e alle effettive esigenze delle scuole e dell’utenza, si è preferito impedire tout court ai docenti di ricoprire i posti effettivamente vacanti.
Come si è visto, in realtà, il divieto di chiedere l’assegnazione provvisoria persino nella stessa provincia, sta ad indicare che il problema non è tanto quello delle “migrazioni” di docenti dal Nord al Sud, ma quello di garantire la continuità didattica.
L’aspetto che non convince, però, è che quello stesso docente che non ha il diritto di avvicinarsi alla propria famiglia e di esercitare il diritto-dovere di educare ed istruire i propri figli previsto dall’art. 30 della Costituzione, può essere tranquillamente spostato da una sezione all’altra dal dirigente scolastico, anche in violazione della continuità didattica.
Il bello è che il blocco quinquennale (e il conseguente obbligo di garantire la continuità didattica) non riguarda tutti i docenti, ma solo una piccola minoranza e – segnatamente – coloro che sono stati assunti “a partire dall’anno scolastico 2020/21”.
E’ solo sulle loro spalle che viene a gravare l’esigenza di garantire la continuità didattica, mentre oltre il 90% dei docenti può esercitare il diritto di scegliere una nuove sede, più confacente alle proprie esigenze familiari e professionali.
Il flop della “call veloce” avrebbe dovuto portare i tecnici del Ministero a rendersi conto dell’esigenza di una profonda revisione della questione degli organici e del reclutamento del personale, senza il ricorso a furbesche scorciatoie o a improbabili dictat, che si risolvono nel tentativo di mettere una pezza peggiore del buco.
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