Il nuovo comma 3 dell’art.399 del D.Lvo 297/94 (come modificato dalla legge 159/2019 di conversione del DL 126/2019) prevede che i docenti immessi in ruolo a partire dall’a.s. 2020/2021, possono chiedere il trasferimento, l’assegnazione provvisoria o l’utilizzazione in altra istituzione scolastica, ovvero ricoprire incarichi di insegnamento a tempo determinato in altro ruolo o classe di concorso soltanto dopo cinque anni scolastici di effettivo servizio nella scuola di titolarità.
Quindi, i nuovi docenti assunti a decorrere dall’1.09.2020, a prescindere da quale tipologia di graduatoria vengono reclutati, saranno vincolati sulla sede di prima assegnazione per cinque anni.
Un anticipo sul blocco per i neo assunti dall’1.09.2020 era già stato introdotto per i soli docenti immessi in ruolo dalle graduatorie regionali di merito (GRM) della procedura di cui al DDG 85/2018 con decorrenza dall’a.s. 2019/2020.
L’art.13 del D.lvo 59/2017, come modificato dalla legge 145/2018, ha infatti previsto che il personale che ha concluso positivamente il percorso annuale di formazione iniziale e prova del concorso indetto con DDG 85/2018, ed è confermato in ruolo presso l’istituzione scolastica ove ha svolto il periodo di prova, è tenuto a rimanere nella predetta istituzione scolastica, nel medesimo tipo di posto e classe di concorso, per almeno altri quattro anni.
Sui ricorsi proposti da quest’ultima categoria di docenti, certamente penalizzati rispetto a tutti gli altri docenti immessi in ruolo dal concorso ordinario o dalle Gae con decorrenza 1.09.2019, le decisioni giudiziarie fin’ora intervenute sono state, purtroppo, negative.
La giurisprudenza intervenuta sul punto ha rilevato, che l’introduzione di detto blocco evidenzierebbe la sussistenza di una esigenza di fondo che il legislatore ha tenuto ben presente anche negli ultimi interventi legislativi, i quali rivelano un trend diretto a prolungare il vincolo di inamovibilità per i neo assunti.
In particolare, con l’articolo 1, comma 17-octies e ss., del D.L. 29 ottobre 2019, n, 126, convertito con modificazioni dalla Legge 20 dicembre 2019, n. 159, è stato previsto che “A decorrere dalle immissioni in ruolo disposte per l’anno scolastico 2020/2021, i docenti a qualunque titolo destinatari di nomina a tempo indeterminato possono chiedere il trasferimento, l’assegnazione provvisoria o l’utilizzazione in altra istituzione scolastica ovvero ricoprire incarichi di insegnamento a tempo determinato in altro ruolo o classe di concorso soltanto dopo cinque anni scolastici di effettivo servizio nell’istituzione scolastica di titolarità, fatte salve le situazioni sopravvenute di esubero o soprannumero”.
L’unica eccezione prevista dal Legislatore riguarda il personale disabile o che presta assistenza a congiunti disabili gravi, di cui all’articolo 33, commi 3 e 6, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, purché le condizioni di disabilità siano intervenute successivamente alla data di iscrizione ai rispettivi bandi concorsuali ovvero all’inserimento nelle Gae.
La ratio della norma è quella di evitare che gli aspiranti docenti partecipino ai concorsi in regioni con minor numero di candidati per poi domandare immediatamente il trasferimento, lasciando sfornite le sedi per le quali erano stati assunti e creando disfunzioni organizzative, oltre che penalizzando in modo significativo la continuità didattica e quindi, in ultima analisi, i diritti dell’utenza.
Bisogna tuttavia verificare, se l’interesse perseguito dal Legislatore, possa ritenersi prevalente rispetto ai diritti del personale neo immesso in ruolo che si vede “vincolato” sulla sede di prima assegnazione per ben cinque anni.
Il sacrificio imposto ai neo assunti appare in verità eccessivamente gravoso, sol se si pensi che detti docenti non solo non potranno chiedere il trasferimento (o il passaggio di cattedra o di ruolo), ma non potranno nemmeno presentare domanda di assegnazione provvisoria o di utilizzazione e, addirittura, non potranno essere destinatari di incarico a tempo determinato in altro ruolo o classe di concorso.
Sicuramente averso detto vincolo saranno proposti molti ricorsi innanzi al Giudice del lavoro per rivendicare il diritto al mantenimento dell’unità familiare, che ha certamente una copertura costituzionale, auspicando quindi una lettura costituzionalmente orientata della norma.
Considerato però che il tenore letterale della norma di legge è piuttosto chiaro, nei ricorsi da proporre risulterà necessario sollevare una questione di legittimità costituzionale della stessa.
Solo se il giudice innanzi al quale verrà proposto il ricorso riterrà rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, della stessa ne sarà investita la Corte Costituzionale, alla quale spetterà l’ultima parola.
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