Di Graziella Priulla, già docente di sociologia dei processi culturali presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Catania, nonché autrice di numerosi saggi sul tema relativo agli stereotipi di genere, ai linguaggi di genere, alla violenza sulle donne e come prevenirli, ci viene segnalato in questi giorni il volume, “Violate. Sessismo e cultura dello stupro”, Villaggio Maori Edizione, 15,00 Euro, 182 pp.
Libro impegnato, come sempre quelli di Priulla, sul delicato, quanto non più eludibile, tema relativo alla violenza sulla donna che ha radici antiche e profonde, dentro una cultura che non riesce ad affrancarsi ancora da un modello patriarcale radicato e incrostato da millenni, per cui la donna continua a essere oggetto subalterno e dunque abusato alla bisogna, umiliato quando occorre, stuprato perché ha sollecitato l’istinto ancestrale del sessista di turno. Colpevole sempre e comunque.
Lo raccontava il premio Nobel, Dario Fo, quando dei fascisti per punire i suoi spettacoli di chiara impronta comunista e comunque antifascista, stuprarono sua moglie, Franca Rame che quell’efferatezza non riuscirà mai a dimenticare. Il culmine di ogni vigliaccheria: stuprare la donna per punire l’uomo.
Ma aggregata alla violenza fisica, c’è quella verbale, avviluppata dentro un linguaggio aggressivo e a una comunicazione sessista che raccoglie modalità espressive incitanti ad azioni violente, come è facile leggere sui social che diventano megafoni di violenze e umiliazioni.
Il libro, intenso, documentato, di facile lettura e con ogni probabilità pure da leggere a scuola e a casa, è interessante anche per le molte citazioni di fatti accaduti a donne di ogni classe sociale e dimensione politica, e che si apre proprio con una documentata analisi di fatti violenti a loro danno, nella constatazione del pervasivo misticismo aggressivo maschilista che contamina pezzi di società per i quali il tema dello stupro e dell’ancestrale azione di possesso dell’uomo sulla femmina, in quanto oggetto, diventa agghiacciante realtà.
Interessante pure l’analisi sul problema educativo strutturale della società per cui quella che l’autrice chiama “ingiustizia sessista” viene interiorizzata sin dall’infanzia e financo nella scuola e nei sussidi didattici.
“Cultura dello stupro”, riporta il sottotitolo, con il quale l’autrice intende mettere in evidenza il fatto che lo stupro e il femminicidio siano solo l’aspetto più appariscente di un fenomeno che si pasce di comportamenti e di discorsi conseguenziali all’interno sempre di una cultura che se non giustifica, spesso li tollera.
Dunque compito, oltre che della famiglia, anche della scuola, il luogo della socializzazione per eccellenza e deputato alla cultura della parità, è quello di educare al reciproco rispetto, isolando i violenti, solidarizzando con le donne e prevenendo.
“Quello che si deve fare con urgenza – dice Priulla – è puntare sul dissenso sistematico, di tutte le forme di violenza di cui il femminicidio è la punta dell’iceberg, senza sconti e tentativi di giustificazione. Bisogna smontare la cultura dello stupro (cultura e stupro sono due termini soltanto in apparenza antitetici), che ha alle spalle tre millenni di “educazione” di genere con risultati che sono sotto gli occhi di tutti/e. Le famiglie e la scuola hanno un ruolo fondamentale nell’educazione degli e delle adolescenti, perché sono loro che devono dare un significato a tutto quello che viene proposto, specialmente dalla rete. Non dimentichiamoci, infatti, che accanto alle violenze reali esistono le violenze “virtuali” (cyberviolenze), di cui le giovani adolescenti stanno pagando il prezzo più alto”.