Le tensioni sociali circa le aree sottoposte a rischio o elevata vulnerabilità per questioni territoriali, economiche o ambientali talvolta rendono il quadro della sicurezza generale – con le relative implicazioni di micro e macrocriminalità (quest’ultima consistente in azioni sì violente ma di bassa portata e profilo condotte in generale da giovani e giovanissimi) – decisamente compromesso in alcune aree del mondo.
La scuola, in tali casi, sin dalla più tenera età, si conferma come luogo non solo di apprendimento, ma di protezione e di difesa sociale attraverso strumenti – quasi armi in contesti sociali esplosivi – di natura culturale ed identitaria che realmente possono fare la differenza per giovani soggetti ad elevatissimi scenari di vulnerabilità prettamente economica legata alla relativa estrazione. Un’ambasciata di legalità, come suggeriscono le istituzioni? L’ONU e UNESCO confermano: maggiore è la densità – ed il posizionamento strategico – degli istituti e la relativa accessibilità ed inclusività degli stessi, minore è il flusso di giovani e giovanissimi che s’incamminano tristemente lungo il cammino di violenza e criminalità per garantirsi, talvolta, la sopravvivenza in un sistema economico che pare non perdonare. I docenti si confermano dunque come rappresentanti di diligenza e legalità in determinate aree critiche del globo – e anche di realtà a noi molto vicine – e la loro sicurezza risulta spesso appesa ad un filo. In pochi sembrano realmente riconoscerlo.
In molti paesi, la criminalità giovanile costituisce una questione politica significativa. Secondo il Fondo internazionale di emergenza per l’infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF), circa la metà dei bambini di età compresa tra 13 e 15 anni in tutto il mondo, circa 150 milioni, soffrono di violenza tra pari all’interno e nei dintorni degli ambienti scolastici o assimilati. La stessa fonte afferma inoltre che il 37% dei giovani di età compresa tra 13 e 15 anni è stato vittima di bullismo almeno una volta nel Regno Unito nell’anno scolastico 2017/18 (ultimi dati disponibili).
Nonostante cifre scioccanti come queste, sorprendentemente si sa poco – e di conseguenza si agisce in maniera limitata – sull’esperienza scolastica dei giovani o su come le interazioni con il sistema di giustizia minorile possano influenzare i giovani che delinquono su base quotidiana migliorando o peggiorando il loro rendimento scolastico e/o il loro percorso verso la commissione di reati penali. La frequenza scolastica obbligatoria è vista, a somma delle considerazioni del rapporto, come un mezzo per tenere gli alunni occupati sul proprio futuro, lontani dalla strada e dalla criminalità. Anche tale dinamica può dare luogo ad un rischio: concentrare fenomeni di violenza in seno agli ambienti scolastici.
Uno studio ripreso dagli studi UNESCO / ONU citati poc’anzi indica che la frequenza della scuola obbligatoria può potenzialmente aumentare il rischio che i giovani manifestino violenza nei locali scolastici (Beatton 2020). Questa ricerca utilizza un set di dati amministrativi anonimi provenienti dall’Australia che confronta l’istruzione e i precedenti penali del dipartimento dell’istruzione del Queensland e del relativo organo di polizia locale dal 2003 al 2014. Per identificare l’effetto della frequenza scolastica obbligatoria sulla violenza a scuola, lo studio esamina empiricamente l’effetto di la riforma “guadagnare o apprendere” adottata già nel 2006 nel Queensland, che imponeva un anno aggiuntivo di istruzione obbligatoria dai 16 ai 17 anni valido per tutti gli studenti. La ricerca mostra un effetto significativo e positivo della riforma sulle azioni disciplinari per comportamenti violenti a scuola tra gli alunni esposti alla politica. In effetti, le stime mostrano che il conteggio e il rischio di sanzioni disciplinari scolastiche violente all’età di 16 e 17 anni sono aumentati rispettivamente di circa il 15% e il 13%, mentre non hanno influenzato i precedenti della polizia per reati violenti alla stessa età. La riforma ha inoltre ridotto i reati contro il patrimonio e quelli legati alla droga nei casellari della polizia all’età di 16 e 17 anni e tra i 18 e i 20 anni, ma non ha modificato considerevolmente i dati relativi comportamenti scorretti a scuola legati a proprietà o sostanze illecite.
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