Sono un insegnante di Religione laico, da un anno e mezzo in pensione. Per la giornata di sabato 25/11 ho scritto una riflessione sulla violenza di genere. È frutto dei dialoghi quotidiani avuti con gli studenti per 37 anni, che ascoltavo molto e volentieri, e della mia ulteriore esperienza maturata con un’organizzazione non governativa (Osservatorio Antiplagio) che da trent’anni riceve segnalazioni di abusi, in particolare nei confronti delle donne, da parte di sedicenti medium e santoni. Sentendo le storie delle loro vittime – come quelle dei ragazzi e delle ragazze durante le lezioni – e ragionando sul tema, siamo sempre giunti ad una conclusione condivisa. Ho pensato di renderla pubblica, non solo perché in essa faccio riferimento alla scuola, ma anche perché non si possono riversare le responsabilità delle brutalità degli uomini sugli insegnanti e sulle famiglie, mentre la tv-spazzatura, i social e la ‘rete’, che hanno la faccia tosta di addebitarci quelle responsabilità, continuano ogni giorno, impunemente, a veicolare la donna-oggetto, l’aggressività, gli insulti reciproci, la sopraffazione di chi urla di più e la prevaricazione del più forte sul più debole e sulle stesse donne (basti pensare a Vittorio Sgarbi). Nessuno però ne parla, per il timore di essere estromesso da essi, specie dal piccolo schermo, e non potersi più fare pubblicità. Sì, siamo arrivati a questo. Ciò che giornalmente i docenti provano a trasmettere agli studenti, sulle regole di comportamento, sull’educazione, sul rispetto reciproco, ecc. viene vanificato e calpestato in pochi minuti di televisione-trash o di navigazione nei social media che dovrebbero essere accessibili solo ai maggiorenni. Per non parlare del libero accesso online alla pornografia e al dark web, nel quale circola di tutto: come se, con la tecnologia che abbiamo, non fosse possibile impedirne la visione ai minori. In realtà non lo si vuol fare, neppure a livello legislativo, per il business che le lobbies collegate andrebbero a perdere. Vediamo allora se almeno del rischio dei rapporti di coppia superficiali e nocivi è concesso parlare.
Bisognerebbe insegnare agli uomini, come a tutte le persone, e non solamente nelle scuole, che il cuore funziona alla pari di un muscolo: quando viene stimolato dai sensi ad una reazione – in presenza (per esempio) di un colpo di fulmine, esperienza tumultuosa che attrae e coinvolge emotivamente due estranei – accelera il battito e va fuori giri. Ma è emotività, appunto, non razionalità. Infatti nei mesi successivi, ad ogni incontro tra i due, il cuore accelera meno, fino a tornare alla normalità. Le cosiddette crisi di coppia del settimo anno appartengono alle statistiche, non sono coincidenze: al massimo sbagliano (di poco) in più o in meno, ma sono reali e frequenti. Agli albori di una probabile relazione, quindi, è l’istinto che inganna e domina: condizionato dall’aspetto fisico, dal sesso e da qualche interesse particolare. I cosiddetti secondi fini, reciproci, rientrano in questa gamma. Però quando si comincia a ragionare su vizi e difetti, oltre che sugli altarini nascosti del partner, le cose cambiano. E molti rapporti naufragano, a dimostrazione che la razionalità è subentrata tardi. Gli spasimanti all’inizio non la usano, si sa; preferiscono affidarsi all’istinto perché il ragionamento è selettivo, l’istinto lo è raramente. Inoltre quest’ultimo è godereccio, dunque è semplice, comodo e piacevole soddisfare le sue ‘richieste’. Le false partenze delle relazioni ‘sentimentali’ (chiamiamole così), di conseguenza, determinano fallimenti e deterioramenti a bizzeffe di fidanzamenti e matrimoni: gli alti numeri trovano riscontro, purtroppo, nei tribunali.
Se alla prima occasione i due estranei coinvolti si fermassero a pensare che è meglio approfondire la conoscenza, piuttosto che affondare subito il colpo, rischierebbero meno di condurre all’affondamento pure il rapporto: in diversi casi non comincerebbe proprio. Ed è in questa direzione che è importante e necessario intervenire, se si vogliono veramente educare all’affettività le generazioni attuali e future. Sarebbe opportuno invitarle e spronarle a passare dal cuore al cervello, sia per il loro bene, che per il bene della collettività. Che se ne fa essa (collettività) di coppie o famiglie mal assortite, destinate a deragliare e potenzialmente dannose per sé stesse e per gli altri, compresi i figli che nascerebbero? E che se ne fa la Chiesa? Piuttosto, perché quest’ultima non collabora con la società civile, prendendosi momenti di preparazione ed ascolto dei potenziali sposi più lunghi? Sarebbe anche più serio e meno devastante per lo stato, sia metafisico che psicofisico, della comunità. La quantità di tempo supplementare, in tal modo, aumenterebbe la percentuale della qualità della vita di tanti. Ovviamente i rapporti di coppia non diventerebbero all’improvviso tutti scorrevoli, sarebbe assurdo e stupido pensarlo; ma nascerebbero su basi diverse, meno fragili e, soprattutto, meno pericolose: a vantaggio, in prevalenza, delle donne. Se anziché ‘buttarsi’ immediatamente tra le braccia di un estraneo, si avesse la forza e la calma di aspettare, prima o poi la gelosia, la possessività, la propensione ai maltrattamenti fisici e mentali emergerebbero, come emergerebbero i lati peggiori di una personalità non disposta ad attendere e a rispettare le esigenze dell’altro.
Una situazione tipica potrebbe essere la seguente. Lui domanda a lei: “Se è vero che mi ami, perché non facciamo all’amore”. E lei: “Se è vero che mi ami, non continueresti a chiedermelo e ad insistere”. Chi dovesse vivere una simile circostanza, riuscirebbe però a non cedere al ricattino? Oppure, prescindendo dal cedimento, dalla debolezza, dalla tentazione, non è che quel ricattino diventa il campanello d’allarme di un partner sbagliato? Avere pazienza vuol dire cominciare e imparare a conoscersi. Il resto è improvvisazione e imprudenza. Se, al contrario, qualcuno non intende rinunciare alla poetica illusorietà del colpo di fulmine (caratteristico delle favole, degli incontri con principi azzurri e principesse, dei film e delle fiction), sappia che nella stragrande maggioranza degli episodi non funziona e basta: a voler essere ottimisti. Allo stesso modo la realtà dice che non funziona neppure il presunto sesto senso femminile. Seconda obiezione che ho sentito: “I ragazzi devono fare esperienza”. Chi lo afferma dovrebbe precisare sulla pelle di chi. La differenza tra gli uomini e gli animali la determina l’intelletto. Se l’uomo lo usa poco o, in certi frangenti, addirittura non lo usa, non si lamenti dei risultati negativi conseguiti: che lo fanno divenire peggiore di una bestia. E definirlo tale (cioè bestia) offende gratuitamente e inutilmente gli animali. Il complesso di superiorità degli uomini deve comunque cessare, in qualsiasi contesto si manifesti, altrimenti non se ne esce. E nel contempo le scuole verrebbero coinvolte in un ennesimo fiasco (come sta accadendo con l’educazione civica), a maggior ragione se dall’alto avanzano proposte che non tengono conto delle competenze e dell’immediatezza del problema, poiché non accompagnate da adeguati ed istantanei finanziamenti per la formazione: i cui tempi, oltretutto, non sono brevi. O si pensa che gli insegnanti siano dei jolly, pronti per tutte le stagioni e per togliere le castagne dal fuoco a chi dovrebbe governare e vigilare sulla spazzatura mediatica in cui è di casa? Nel frattempo, giusto per stare sul pezzo, snocciola promesse e slogan a 360 gradi.
Giovanni Panunzio
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