Quella degli insegnanti è una categoria che negli anni ha via via visto frantumarsi il proprio ruolo educativo e sociale, la propria autonomia di insegnamento, garantita da Costituzione e contratto, la propria autorevolezza e dignità e in un articolo pubblicato qualche giorno fa su questo sito abbiamo evidenziato che il mancato rispetto da parte di alunni violenti e purtroppo pure da familiari dei discenti è anche il “frutto avvelenato” della delegittimazione e denigrazione subita negli ultimi due decenni spesso ad opera di chi invece avrebbe dovuto sostenere e tutelare i professionisti di un settore così importante e delicato.
Abbiamo sottolineato nel suddetto articolo che quella che oggi viene giustamente definita una “gravissima emergenza educativa” non spunta fuori da un giorno all’altro e ha origine anche da politiche che hanno peggiorato il sistema scolastico, scelte didattiche e pedagogiche sbagliate, luoghi comuni fuorvianti, “riversando peraltro sui docenti colpe invece attribuibili alla volontà politica di perseguire negli ultimi decenni strategie ideologiche che contrastano con la difesa della scuola pubblica”.
Francamente quanto meno azzardato mi sembra attribuire (50 anni dopo!) al ’68 e alla conseguente “emancipazione giovanile e femminile” (sembra l’abbia asserito un sociologo!) la colpa del degrado sociale (semmai ha inciso fortemente sul differente ruolo della famiglia, nel senso che ha alterato, a volte in peggio ma in taluni modi di confrontarsi invece in meglio, i rapporti familiari), persino da parte di qualche sociologo che forse dovrebbe basare il proprio giudizio su una fase storica più attuale, mettendo in rilievo ad esempio la degenerazione dell’uso del web soprattutto attraverso certi “social”. Peraltro, io ho frequentato la scuola superiore negli Anni ’70 e non ricordo particolari episodi di violenza e di bullismo nei confronti degli insegnanti.
Di fronte al “bullismo” crescente (ovviamente anche e soprattutto verso altri ragazzi, non solo nei riguardi dei prof) occorre intervenire con fermezza. Ho letto un articolo del preside Zen, che partendo da una premessa giusta (“Bullismo a scuola, non fare di tutta l’erba un fascio”; anche se poi quando si tratta di bullismo, tale è al di là delle motivazioni, né ritengo che ci sia qualcuno che attribuisca una “predisposizione” alla violenza alla totalità degli alunni e dei genitori, la stragrande maggioranza dei quali invece è rispettosa e disponibile al confronto civile) scrive frasi che sarebbe meglio spiegare bene per evitare magari equivoci: “è giusto che si dica che, a parte situazioni oggettivamente ingestibili, è la crisi di autorevolezza di alcuni docenti a favorire questi stessi episodi” e nel corso delle sue riflessioni aggiunge “ho presenti casi di insegnanti che fanno fatica, magari nascosti dietro alla minaccia di un brutto voto, a vivere in modo equilibrato, positivo, culturalmente stimolante, il proprio ruolo”. Poi una stoccata finale: “In tutte le scuole si sa chi sono i docenti bravi, autorevoli, di cui fidarsi. Sono quei docenti che le famiglie chiedono per i propri figli, che gli studenti seguono ed inseguono, perché garantiscono lo sfondo educativo ed un chiaro approccio culturale. Il vero antidoto anche contro gli episodi di bullismo”.
Qualche “ingenuo” potrebbe pensare che allora se il docente non ha autorevolezza (e io ho spiegato perché e chi spesso gliela sottrae) quasi quasi si inguaia da solo e che un docente meno bravo di cui non ci può fidare, non garantendo “un chiaro approccio culturale”, è diciamo così “più esposto” perché non possiede “il vero antidoto anche contro gli episodi di bullismo”. Sono sicuro che il dirigente Gianni Zen volesse esprimere un concetto un po’ diverso, ma sarebbe bene che specificasse in maniera netta vista la drammaticità degli episodi cui decine e decine di insegnanti sono stati vittime (al di là delle “situazioni oggettivamente ingestibili”, perché anche in caso di quelle “gestibili” nessuna tolleranza è consentita verso vili atti di aggressioni, minacce, denigrazione), mettendo bene in chiaro che azioni di violenza, bullismo, insulti non devono accadere e non possono essere giustificabili né contro i docenti “bravi” né per quelli “meno bravi” (a proposito, chi decide i parametri di “bravura”?).
Per onestà devo dire che in passato rispetto al preside Zen ho avuto idee diametralmente opposte: mi limito a ricordare quando a difesa della legge sulla “buona scuola” parlava, a fronte di uno sciopero con mezzo milione di partecipanti, di “corporativismo non più accettabile nella nostra società aperta”, e io feci notare che spesso si parla di “corporativismo” quando i lavoratori tentano di difendere diritti, magari (era il caso di quello sciopero) a cominciare dal rinnovo di un contratto bloccato da tanti anni e dal pagamento degli “scatti stipendiali di anzianità” arretrati. E a proposito degli alunni che partecipavano anche loro in modo massiccio a quella manifestazione (insieme a tantissimi genitori che quel giorno sfilavano con i docenti, senza chiedersi… chi tra gli insegnanti fosse più o meno bravo e pare che di loro si fidassero!) Gianni Zen diceva che erano “non sempre consapevoli”. Erano allora forse strumentalizzati dai loro insegnanti (circa mezzo milione) o erano “inconsapevoli” perché la pensavano diversamente da lei, preside?
Come antidoto contro le prevaricazioni e le violenze ribadisco anche in questo articolo che la scuola deve tornare ad essere rappresentata e vissuta come luogo dove si formano le coscienze civiche. Ma spesso purtroppo questo non basta ed occorrono strumenti appropriati e azioni deterrenti.
E mentre al Miur si richiede chiarezza sugli interventi almeno a livello sanzionatorio (a livello eventualmente penale si auspica comunque che i docenti vengano sostenuti e non lasciati da soli) perché, come detto da più parti, non sono sufficienti per i casi più gravi ammonimenti e blandi percorsi di riabilitazione formativa, né si può procedere con soluzioni “estemporanee” spesso assai differenti tra una scuola ed un’altra, gli episodi di violenza anche in questi ultimi giorni continuano ad emergere (come testimoniano diversi articoli pubblicati pure su questo giornale on line).
Senza contare che tutti questi episodi dimostrano quanto usurante (e pericoloso) sia ormai diventato il ruolo del docente (l’illustre medico Vittorio Lodolo D’Oria non a caso parla da anni di rischio e di casi concreti e sempre maggiori di “burnout” e si preoccupa per la salute degli insegnanti, che sempre più frequentemente, anche per l’allungamento dell’età pensionabile, sono soggetti a forti stress e a “malattie professionali”): bisogna battersi perché questo mestiere sia a giusto diritto inserito tra quelli usuranti anche ai fini pensionistici (d’altra parte se è stato riconosciuto come tale alle/ai maestre/i delle scuole d’infanzia e dei “nidi”, non è più o almeno altrettanto “usurante” insegnare le basi dell’apprendimento nelle scuole primarie o rapportarsi con i “vivacissimi”, per usare un eufemismo, ragazzi adulti di una scuola superiore, spesso in “classi pollaio”, o di ragazzini in una delicata fase di crescita come quelli che frequentano le scuole di istruzione secondaria di primo grado? Certo, si riconosce anche il ruolo delle insegnanti di “nido” e infanzia ma è chiaro che la scelta di inserire solo loro tra i mestieri usuranti nella scuola è dovuta esclusivamente a un fatto di “platea”, di numero di docenti ammessi al “beneficio” che nel caso specifico è assai limitato, ma non ha alcun valore diciamo “scientifico”!).
Oltretutto, con un ricambio generazionale, si avrebbero docenti più giovani e magari più motivati (senza l’inevitabile logorio di una professione delicata e che necessità di molte energie, non solo intellettuali) nonché con maggiori competenze tecnologiche che li avvicinano al mondo digitale che i ragazzi conoscono oggi inevitabilmente più della quasi totalità dei loro insegnanti.
E a proposito di luoghi comuni (mi riferisco a quanto citato nella prima parte di questo articolo) sottolineo che non c’è in queste mie riflessioni una difesa “corporativa” del mestiere dell’insegnante, perché io non sono un docente ma un giornalista professionista che si occupa di scuola (ed università, ma lì le problematiche sono altre) da un quarto di secolo!
Peraltro, i docenti devono essere educatori e insegnare agli alunni le conoscenze disciplinari (senza le quali le “strombazzate” competenze sono solo una parola vuota e retorica), ma non sono “tuttologi”: non spetta a loro svolgere compiti che competono ad esempio ad assistenti sociali o psicologi, per non parlare delle responsabilità nell’ambito genitoriale e familiare, né si può pretendere che soprattutto quelli più anziani possano essere… esperti informatici, al passo con nuove tecnologie da gestire con cautela, perizia e adeguate capacità.
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