La prof di matematica rimprovera Pierino per non aver studiato e gli mette un 5 sul registro elettronico. Dopodiché, tornando a casa, trova subito sul cellulare un’e-mail della madre di Pierino che le chiede un incontro urgente «Per capire come mai mio figlio abbia avuto un brutto voto pur avendo studiato tanto».
Episodi come questo sono ormai la normalità. Mai come in questi anni difficili la classe docente era stata sottoposta a pressioni psicologiche così pesanti. Troppi insegnanti riferiscono frasi assurde, irriguardose, piene di supponenza e di incoscienza dei ruoli:«Ieri mia figlia ha studiato fisica con me, l’ho interrogata io e sapeva tutto». «Lei lo ha messo a disagio, cara “prof”, e lui, che è emotivo, si è confuso». «Ho sentito l’interrogazione di filosofia in DaD: lei, professoressa, l’ha aggredita, ma il giorno prima mia figlia era preparatissima». «Si ricordava tutte le date, ma per lei, prof, l’interrogazione di storia è un interrogatorio e non le sta bene niente». «Mio figlio l’inglese lo conosce perché abbiamo sempre viaggiato: come mai con lei, prof, guarda caso, va male proprio in inglese?».
Un florilegio di insulti criptati, di sfiducia, di non considerazione per la professionalità del docente, di velate intimidazioni volte a minare la sua autostima, a farlo sentire isolato confrontandolo con altri “più bravi” di lui (colleghi di corso o insegnanti a pagamento del pargolo “vessato” dal docente stesso). Alcuni genitori ricorrono alla triangolazione psicologica, cercando alleanze surrettizie con altri docenti più “malleabili” per isolare il prof “cattivo”. Altri saltano l’ostacolo rivolgendosi (magari in coppia) al Dirigente Scolastico per lamentarsi dell’insegnante, senza che costui ne abbia nemmeno sentore.
Scenari ormai consueti, che 30 anni fa si verificavano solo nelle scuole private, ove lo studente è cliente, e pretende perché paga. Nella Scuola pubblica – istituzione dello Stato democratico volta a garantire, mediante un’istruzione seria e disinteressata, il diritto dei cittadini all’istruzione – ancora 20 anni fa uno scenario simile (tipico della scuola-azienda messa a servizio del cliente) non era nemmeno immaginabile. Oggi è la norma ovunque.
Frutto delle controriforme che dal 1993 hanno deformato – qualcuno dice “distrutto” – la Scuola? Probabilmente. Ma non ha forse qualche responsabilità anche la massa dei genitori nati dagli anni Sessanta in poi? Non c’è forse un’abissale differenza tra il comportamento dei genitori di 40 anni fa e quello dei quarantenni e cinquantenni di oggi? Non sono forse diversi – totalmente – mentalità, orizzonte culturale, adeguatezza al mestiere difficilissimo di genitore, considerazione dei propri diritti, dei propri doveri, della responsabilità individuale? Possiamo pretendere che gli adolescenti siano migliori dei loro genitori, se questi non sono in grado di educarli perché essi stessi non seguono nessun principio etico se non quello egolatrico – che etico non è – dell’“Io prima di tutto”? Madri inadeguate e padri evanescenti, che non parlano coi figli se non per compatirli e vezzeggiarli, possono forse aiutare il difficile lavoro degli insegnanti?
Son tutti dell’ultimo trentennio i casi di genitori uccisi da figli molto giovani in circostanze efferate e per motivi futili. L’ultimo, non ancora accertato, è recentissimo. “Ego über alles”. A qualunque costo.
Paolo Crepet, educatore, psichiatra e sociologo di chiara fama, non è tenero nei confronti del genitore medio di oggi e del suo relazionarsi con figli e Scuola: «L’identità personale si forma scuola,» – ha dichiarato a “Fuori TG” del TG3 lo scorso 1° febbraio sul tema “Minori nella rete” – «dove il minore passa la maggior parte delle sue ore di attività. Se poi la Scuola chiude o s’immiserisce con la DaD, le conseguenze sono i fatti che leggiamo sui giornali. Alcune multinazionali fatturano trilioni di dollari coi social cui i giovani vengono dati in pasto dai genitori. Per fronteggiare ciò, lo Stato fa solo carte. Ma dietro internet c’è un mercato. Se una mamma arriva dare il cellulare al figlio di dieci anni, non dovrebbe far la mamma. Far la mamma è dar regole, presenza, ascolto: non telefonini, progettati per creare dipendenza. Inoltre, con padri evanescenti e fratelli che s’ammazzano di canne, non c’è spesso una famiglia sana che possa difendere il minore dalle assurdità dei social. 20 anni fa mi occupai del delitto di Novi Ligure: una sedicenne che uccise i genitori. Io posi una domanda banale: in quella famiglia ci si chiedeva “Come stai” e “Sei felice”? Non porre queste domande significa abdicare al ruolo di genitori. È incredibile che una mamma sappia tutto del pilates e nulla della propria figlia!».
Ecco il nocciolo del problema: quanti genitori, per evitare qualsiasi conflitto coi propri figli (coi quali non dialogano), scelgono di assecondarli in tutto, e per questo li spalleggiano contro chi è stato formato per educarli? Qual è l’adeguatezza di simili genitori al ruolo di genitori? Quant’è grave il danno che simili comportamenti arrecano alle giovani generazioni e al futuro dell’intero Paese, nel momento in cui una mentalità siffatta diventi maggioritaria e preponderante?
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