Cara Scuola, sento il bisogno di scrivere a te.. a te di cui sento profondamente la mancanza, proprio come mi manca la mia famiglia e i miei amici lontani, come mi manca incontrare i miei alunni e vivere la nostra straordinaria, imprevedibile routine.
Per questo inizio con il ringraziarti, perché per me sei un sogno che si avvera quotidianamente, nonostante tutte le fatiche e le sfide che ogni giorno mi presenti; sei la scelta più vera e sentita che io abbia fatto, e sei anche il porto sicuro che molti, soprattutto in questo periodo, non hanno la fortuna di avere, da tutti i punti di vista. Eppure, cara scuola, sono in difficoltà. Mi piacerebbe spiegarti il perché.
Ho 27 anni e non ti ho lasciata mai: tra università e conservatorio, non ho fatto in tempo ad allontanarmi dal mio banco che mi sono ritrovata improvvisamente dall’altra parte della cattedra, e dell’Italia, ad accompagnare la vita di tantissimi ragazzi. Tre anni sono pochi, e so di aver iniziato questo percorso da troppo poco tempo per poter avere un quadro completo della situazione. Eppure insegno ai miei (tuoi, nostri) ragazzi a coltivare e custodire i loro pensieri e le loro idee, a fare lo stesso con quelle degli altri, e poi a tirare fuori la loro voce. Voglio essere coerente e smettere di stare in silenzio.
Cara scuola, sto facendo fatica a trovare risposta ad alcune domande: perché ho le grandi responsabilità di una prof e non mi ritengono tale, perché mi hanno lanciata in classe se non sono sicuri della mia preparazione?
Certo, la formazione e lo studio sono una giostra da cui, fortunatamente, non è possibile scendere.
Ma se l’università non è sufficiente ad essere sicuri delle cose che so, non c’è un problema di fondo che è il caso di risolvere? Perchè mi viene ancora richiesto di dimostrare quali conoscenze possiedo e NESSUNO MAI SI È ASSICURATO che io sia capace di relazionarmi con centinaia di adolescenti?
Non ho mai fatto un tirocinio, non ho mai avuto la possibilità di osservare direttamente sul campo i miei colleghi. Nessuno mi ha osservata, consigliata, corretta. Spesso mi ritrovo ad improvvisare e a fare affidamento sulla mia esperienza da educatrice in associazioni di volontariato che mi hanno abituata al contatto con ragazzi e genitori. Ma può essere solo questione di fortuna? Mi si chiede di conoscere minuziosamente il programma (il programma) di tutto lo scibile letterario (italiano, latino e greco) storico, geografico, musicale, ambiti su cui sono già stata esaminata per anni, e poi? Quello che ho dimostrato in questi (pochi, a confronto di tanti miei colleghi) anni non conta niente?
Sono d’accordo: serve una selezione. Perché, scuola mia, così come ti vedo amata e difesa da tanti colleghi appassionati e preparati, allo stesso modo osservo chi ha visto in te solo un posto fisso distruggerti dall’interno. Perché è questo che succede quando non siamo abili nel nostro lavoro, quando non amiamo questo lavoro: distruggiamo. Distruggiamo le possibilità dei ragazzi di sviluppare i loro punti di vista, le loro potenzialità e capacità, di coltivare sogni, confronti; la possibilità di fare esperienze di bellezza, scoperta, curiosità, crescita. Quindi ok!
Che ci selezionino, che ci mettano alla prova! Che ci formino a costruire! E se non sono certi della mia preparazione, prima di farmi laureare 4 volte, che cambino i percorsi!
Andiamo alla radice dei problemi e smettiamo di fare un passo avanti e dieci indietro. Non voglio essere stabile a tutti i costi, SE NON SONO PRONTA AD ESSERLO.
Ma interroghiamoci su quale sia la stabilità di cui hai bisogno tu, scuola mia. Non voglio più dire bugie: ogni volta che a giugno i miei ragazzi mi chiedono “perché a settembre non torna da noi?” Io devo mentire. Rispondere che non dipende da me è una grossa bugia, perchè per un anno intero ho lottato con loro e per loro, perché sono stati affidati a me. In questo periodo, più che mai, lo stiamo sperimentando. Stiamo portando avanti la didattica a distanza tanto quanto i nostri colleghi, e non voglio parlare delle ore spese (e non perse) al telefono a supportarli, aiutarli, ascoltarli. Così come loro fanno con noi. E come succedeva anche prima di questo disastro, da cui comunque stiamo imparando qualcosa.
E poi, tutto ad un tratto, arriverà giugno e non saremo più idonei? Di nuovo? Non capisco!
I nostri ragazzi hanno bisogno di avere spalle forti a cui appoggiarsi. Abbiamo bisogno, tutti noi, di avere radici solide. Nella preparazione e nella formazione, che non sono la stessa cosa.
Che trovino il modo, ce ne sono tanti..
Lo fanno per tutte le altre professioni.. Perchè per noi no? Non abbiamo le stesse responsabilità? Conosco i sacrifici dei colleghi e degli amici che hanno sostenuto concorsi, tfa, specializzazioni. Conosco e condivido la loro rabbia per le notti passate, nuovamente, sui libri. Perchè non è vero che “se le cose le sai, le sai, sarà facile mettere una crocetta”.
Lo studio non è scolpire nel cervello dei concetti sterili, ma viverli, comprenderli, utilizzarli per renderci menti pensanti e consapevoli. Vogliamo davvero ripetere sempre gli stessi errori?
In questo periodo in cui le priorità diventano urgenze, non è il momento di pretendere maggiore serietà da tutti? I risultati di questa vergognosa incuria sono troppo visibili per essere ignorati. Ce ne rendiamo conto quando accogliamo i bambini in prima media, o i ragazzi in prima superiore.. quanti danni possiamo creare? Se ne accorgono da una crocetta se saremo in grado di riparare e costruire, oppure di distruggere e limitare?
Da questa differenza dipende il futuro del nostro Paese. Perché i giovani che sognano, che ascoltano, che comprendono, che scoprono, che conoscono, che si mettono in gioco.. sono quelli che costruiscono. Ed è la scuola che deve insegnarglielo, dopo la famiglia.
Quindi lo ripeto: voglio dimostrare, qualora non lo avessi ancora fatto, di poter essere l’insegnante che i miei alunni meritano. Credo di meritarmi le condizioni per poterlo fare. Le sto aspettando.
Francesca Invidia
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