Ho letto l’appello dei molti che chiedono la riapertura delle scuole, ho letto l’intervento della collega di Pistoia, quello di Giordano ieri e la richiesta della mamme in difficoltà alle prese con i bambini ormai stanchi dalla lunga reclusione. Ho sentito gli interventi del Ministro e dell’ISS.
Come docente e come mamma di una quindicenne, non vedo l’ora che le scuole riaprano. Come docente e come mamma, questo grande esperimento di e-learning mondiale mi ha insegnato che la tecnologia è preziosissima ma che non sostituisce affatto la lezione viva in presenza.
Il Ministro ha ragione. La didattica a distanza è il meglio che possiamo fare in una situazione di emergenza e i docenti devono fare del loro meglio per garantire anche durante la pandemia, perché di questo si tratta, e non di una emergenza temporanea, il diritto all’istruzione. Che assume valenze e sfumature diverse a seconda del grado di istruzione che intendiamo considerare, nel mio caso la scuola superiore. Per me, quindi, scuola significa soprattutto trasmissione di conoscenze e acquisizione di competenze per affrontare il futuro, lo sviluppo di una testa ben fatta anziché ben piena come scriveva Morin. Tralascio la dimensione socio-affettiva e tutto il repertorio molto nutrito delle teorie pedagogiche e delle prassi didattiche che diventano spesso slogan soggetti alle mode. Forse non tutti, ma molti, moltissimi docenti fanno del loro meglio per assolvere ai loro compiti e per mostrare la loro vicinanza agli studenti e alle loro famiglie, consapevoli di quanto il ruolo della scuola sia importante.
Vorrei che tutti ricordassero anche dopo quanto la scuola sia essenziale nel nostro mondo. Perché qualche volta ho l’impressione che il suo ruolo venga poco considerato, che venga data per scontata, che venga vista semplicemente come un luogo in cui fino a diciotto anni si trascorre gran parte della giornata. Oppure che venga circondata da un alone poetico che la rende l’unica sede del sapere in cui le discipline umanistiche e scientifiche si intrecciano mirabilmente per formare l’uomo di domani.
Mai come in questo periodo mi pare che chi parla di scuola, troppi direi, siano lontano dalla realtà. Che prevede classi con 30 studenti, spazi non adeguati anche in situazioni normali, docenti non sempre in salute la cui età media supera i cinquanta anni, a loro volta con famiglie composte da giovani e anziani, accessi che non possono essere facilmente regolati, alunni che vengono dalla provincia servendosi di mezzi pubblici affollati, momenti di socialità in cui mantenere le distanze risulta difficile. Anche chiedere un piano ingente di ristrutturazioni degli edifici scolastici mi pare ora fuori dalla realtà.
Niente mi manca più dei miei studenti. Niente mi dispiace di più di non poter abbracciare quelli che concluderanno il loro percorso di studi. In trenta anni ne ho abbracciati molti. Sentiranno la mancanza della notte prima degli esami e ricorderanno la loro prova comunque, che non sarà meno significativa per la loro vita di adulti se avrà regole diverse. Sarà per loro un esame speciale, quello in cui davvero avranno mostrato la loro maturità di giovani diventati adulti durante una emergenza sanitaria mondiale mai vissuta prima.
Voglio tornare a scuola il più presto possibile.
Vorrei farlo però in totale sicurezza. Per i ragazzi, e anche per me.
Lucetta Dodi