Inizia un nuovo anno scolastico, per la prima volta nel segno della normalità post pandemia. Inizia con quella campanella settembrina che è un poco lo scoccare della mezzanotte di Capodanno. Inizia col suo carico di speranza e col peso delle sue preoccupazioni.
Insegno a Napoli, terra che mi scorre nelle vene. Terra insanguinata di martirio… recente e antico. Ancora una volta offesa. Ennesima volta, troppe volte. Eppure ne resto innamorato. Folgorato! La mia città, che è casa di meraviglie.
Sento tutto il peso della responsabilità e della chiamata in questo delicato ed arduo compito che è il campo educativo.
Da anni si grida alla “emergenza educativa” eppure le scelte politiche vertono sempre in direzioni opposte.
Ed allora non voglio de-responsabilizzarmi né dimenticare il mio ruolo e la missione, seppure non sono un missionario.
Lo conosco il mio lavoro e lo vivo fino in fondo questo ruolo.
Ma lasciatemi ancora, come docente, un margine di leggerezza…
Perché non è sempre o soltanto colpa della “Scuola” questa deriva sociale che ci asfissia. Non basta la scuola, da sola. Non basta la bellezza, la cultura e l’arte se non se ne ha una vera cura, attenta, sincera, radicale.
Le cause del male sono anche altre… Oltre. Nelle profondità che fanno paura, e che si preferisce non vedere.
Non addossate, allora, solo ai docenti la responsabilità di questi turpi mali del mondo. Non siamo noi, almeno non solamente noi, i colpevoli della crisi antropica… sociale. Lasciateci pure un margine di errore, di dubbio, di fragilità. Perché non siamo vocati per essere dei “Supereroi” ma solo dei veri professionisti, Intellettuali del libero pensiero.
Almeno in parte. Qualcuno… Educatori seriali…
Lasciate che ciascuno faccia la sua parte di giustizia e di sbagli. Non ci puntate l’indice contro. Sempre e a prescindere, perché siamo operatori della scuola non nemici da combattere. Non siamo noi il cancro da estirpare! Lavoratori con diritti e con doveri. E ciascuno faccia ciò che deve, come può, nel ruolo che gli spetta..
Perché è facile trovare il “capro espiatorio” e non porsi più domande. Semplicemente, e senza soluzione. Basta con la narrazione di una Scuola fallita e fallimentare, incapace di educare e che partorisce abominio.
Non ci sto più… non quest’anno!
Giudici di cassazione senza più appello, lasciatemi respirare, vivere e vibrare.
Voglio una scuola leggera che sa di musica e di danza… che non si senta sbagliata sotto il peso dei mali del mondo. Voglio una scuola di parole inutile e non necessarie. Del tempo rubato alla logica del profitto.
Voglio perdere il mio tempo a fare poesia, letteratura e così farlo perdere anche ai miei studenti assuefatti dalle social-finanze.
Ogni tanto considerate che siamo anche noi delle vittime e non soltanto dei carnefici.
Voglio una scuola che faccia la Scuola, casa di relazioni, cultura, fatica, esperienza, bellezza. Lasciatemi una Scuola che disegni, come fanno i bambini, in punta di matita, fragile scia dei sogni.
Una Scuola che sappia farsi ancora procuratrice di vita.
Quella vera, che ciascuno sente crescergli dentro, a fior di pelle, e che sboccia, come corolla, sotto il bacio del sole.
Mario Ascione