Continua il dibattito sulla possibile eliminazione dei voti a scuola. A parlarne è stavolta il docente e scrittore Enrico Galiano, che ha scritto sull’argomento, su Il Libraio, in modo sarcastico e critico. Ecco le sue parole:
“Ma come mai quando si parla di togliere i voti la gente si scalda tanto? È da un po’ che me lo chiedo. Ogni santa volta che qualcuno osa mettere in discussione l’efficacia del voto numerico come sistema di valutazione, a scuola, il cielo si apre e piove indignazione: ‘I voti non hanno mai fatto male a nessuno!’, ‘È così che si cresce!’, ‘È stato con un bel quattro che ho iniziato a studiare!'”.
“Mi preme dire un paio di cose, innanzitutto. La prima è che la pedagogia è una scienza. E quindi che per esprimersi su di essa con un minimo di autorevolezza occorre studiarla, praticarla e aggiornarsi continuamente. E già qui scremiamo il 90% di quelli che parlano di voti a scuola, che di solito lo fanno solo per esperienza propria (e sarebbe come se pretendeste di esprimervi su come si pilota un aereo solo perché in aereo ci siete stati). Poi, per quel restante 10%, è fondamentale citare fonti, studi, esperimenti, ricerche. E invece sapete qual è l’argomento principe che usano tutti, ma proprio tutti i grandi fan del voto? ‘Eh ma si è sempre fatto così!’. Non occorre ora essere scienziati per intuire che col ‘Si è sempre fatto così’ non si progredisce facilmente”.
“Per usare una metafora: voi accettereste di entrare in sala operatoria sapendo che gli strumenti non verranno sterilizzati, come si usava prima del 1800 e di Louis Pasteur? Eppure, anche all’epoca furono in tanti a non credere ce ne fosse bisogno: ‘Eh ma si è sempre fatto così!’. Grazie al cielo la medicina ha fatto dei passi avanti, e allora perché non li facciamo fare anche alla scuola? Che poi la metafora della sala operatoria non è casuale: davvero è dimostrato che il voto numerico è un po’ come uno strumento non sterilizzato, nel senso che ha un’altissima probabilità di non essere oggettivo del tutto. Magari l’operazione riesce lo stesso, eh? Però insomma: meglio non rischiare, che dite?”.
“Chi propende per la sostituzione del voto con altre forme di valutazione non è mica detto sia un pazzo scriteriato, o il classico insegnante buonista. Semplicemente, potrebbe aver studiato ed essersi aggiornato. Aver scoperto, per dire, che abolire il voto numerico non significa abolire la valutazione: semplicemente praticarla in modo più efficace. Più puntuale. Più faticoso, anche: ma in modo educativamente più incisivo. Che passare a una valutazione formativa incentrata sull’autovalutazione produce risultati strabilianti sia in termini di apprendimento sia di benessere scolastico”.
“Sì, lo so: fa torcere il naso a tanti questa cosa del benessere scolastico. Vi puzza, eh? Voi a scuola avete sofferto, e ora siete venuti su in un modo che vi sembra positivo, tutto sommato, e quindi sentite di ringraziare, quasi, quella sofferenza: ma vi è mai venuto il dubbio che siate venuti su così nonostante i voti, nonostante quelle sofferenze, e non grazie a esse? Magari ci sono degli studi, alla base, delle ricerche. Ci avete mai pensato? Per cui ve la butto lì: dato che la questione è così importante, dato che ne va del benessere e dell’istruzione dei nostri figli, lasciamo parlare chi sa e fidiamoci. A fare così, ci meriteremmo un bel dieci e lode”, ha concluso.
Contro l’abolizione dei voti scuola è sicuramente lo psichiatra Paolo Crepet. Quest’ultimo, ospite su Rai2 di Stasera C’è Cattelan, ha detto: “Io sono per una scuola esigente, per un’educazione esigente. Se io sono esigente tu crescerai esigente. Essere esigenti fa fare le cose al meglio. Togliere i voti è come dire a Sinner: ‘Domani giochi e non ci sono i punti, non c’è il tabellone’. E allora cosa vai a fare?”.
Nella sua consueta rubrica “Il caffè” che trova spazio sul Corriere della Sera, anche il noto giornalista Massimo Gramellini ha parlato della valutazione a scuola, dando una sua opinione, in riferimento al liceo Bottoni di Milano che ha deciso di abolire le pagelle del primo quadrimestre.
“Comincia a venirmi il dubbio che a dettare certi provvedimenti difensivi non sia tanto l’aumentata fragilità dei destinatari, quanto quella di genitori e professori, terrorizzati all’idea che i giovani si misurino con una prova che tra i suoi esiti prevede l’insuccesso” scrive Gramellini che racconta la sua esperienza da studente:
“Forse un tempo si era meno sensibili, ma ricordo la sera in cui, durante la cena, confessai a mio padre di aver preso un brutto voto in matematica. Avevo lo stomaco chiuso e non toccai cibo. Lui invece mangiò con gusto e al momento di alzarsi da tavola si limitò a dirmi: “Vai a studiare le equazioni perché domani mattina ti interrogo”. Credo che quella notte mio padre abbia dormito benissimo, e se pure avrà pensato che io stessi soffrendo, l’avrà considerata una tappa necessaria della mia crescita”.
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