Bella l’idea di dare il voto ai sedicenni.
Anche perché spingerebbe alla loro responsabilizzazione.
Ma, forse, sarebbe una forzatura.
Una bella idea, per capirci, se non fosse che questi stessi ragazzi sono nel cuore della frequenza scolastica.
Credo sia giusto, in altri termini, rispettare questo periodo di formazione, per la prevedibile tentazione di strumentalizzazione.
Mi permetto di dire questo sapendo che il 20% di loro, come dalle rilevazioni ufficiali, non riesce a comprendere anche un semplice testo di italiano.
Forse sarebbe il caso di favorire in loro, appunto, questa comprensione, investendo sulla scuola, sulla formazione. Sapendo che questa stessa formazione è il cuore pulsante del loro e nostro futuro.
Se poi mettiamo in conto, anche, che il 47% degli adulti, sempre dai dati ufficiali, è “analfabeta funzionale”, cioè in difficoltà, se non incapacità, di capire e di utilizzare le informazioni di tutti i giorni, appare chiaro che dovremmo pensare bene prima di fare certe scelte.
Mentre dovremmo investire, direttamente e indirettamente, a tutti i livelli ed in tutti i modi, nei percorsi formativi, aperti a tutti.
Il problema è diverso per i giovani dai 18 ai 35 anni, cioè di quell’universo che oggi numericamente risente della prevalenza numerica, e quindi elettorale, degli adulti e degli anziani.
So che è strana la proposta che mi permetto di fare, ma forse tanto strana non è: riconoscere a questa fascia d’età due voti, invece del solito “un voto una testa” su cui si fonda la democrazia.
Perché sono questi giovani, oggi, i più penalizzati, con provvedimenti di legge che, negli anni, hanno favorito i padri ed i nonni a danno dei figli e dei nipoti.
Basterebbe un piccolo sondaggio tra di loro: mentre noi discutiamo su quota-cento e simili, cosa pensano della loro pensione? Se mai ci andranno.
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