L’art. 4 comma 1 del DPR 122 del 2009 dice che: “La valutazione, periodica e finale, degli apprendimenti è effettuata dal consiglio di classe, …., … presieduto dal dirigente scolastico o da suo delegato, con deliberazione assunta, ove necessario, a maggioranza…”. Ma quale dovrebbe essere la logica formativa di questa normativa? Cosa può dire il Consiglio in più di quello che ha da dire l’insegnante della singola disciplina?
È vero, in sede di Consiglio si possono considerare e ponderare alcune problematiche che hanno coinvolto l’alunno e/o la sua famiglia. Problematiche di salute, ad esempio, o disagi vari. In tutti questi casi, oggettivamente comprovati, il Consiglio deve ponderare se le conoscenze e le competenze mancanti in una o più discipline possano essere colmate con un lavoro personale svolto dal ragazzo durante il periodo delle vacanze e successivamente nella parte iniziale del nuovo anno scolastico. Nella pratica scolastica assistiamo però spesso ad una abbreviazione innaturale dell’iter analitico sopra ricordato e l’insufficienza diventa miracolosamente sufficienza con la semplice aggiunta al verbale della frasetta: “per voto di consiglio” e col placet del docente della disciplina. Tale prassi è oggi molto in voga. Si prescinde facilmente anche dall’esistenza o meno di reali motivi personali e familiari che possano giustificare in parte la valutazione sufficiente assegnata.
Ma fino a che punto è utile aiutare così i ragazzi poco performanti? Come può il Consiglio comprendere e valutare il livello di competenze disciplinari possedute dal ragazzo meglio dell’insegnante della disciplina medesima? Come può il Consiglio stabilire se queste carenze possono realmente essere recuperate l’anno scolastico successivo? Insomma, il Consiglio non può entrare nel merito della valutazione del singolo docente e non può decidere che un 3 in Matematica sia in realtà un 6 “per voto di Consiglio”! Non ne ha le competenze. L’insegnante della disciplina conosce lo stato formativo reale dell’alunno ed è l’unico a poter decidere se potrà recuperare o no.
Del resto, se il Consiglio potesse decidere se la formazione dell’alunno è sufficiente o meno non ci sarebbe bisogno neanche degli insegnanti! Potremmo affidare alla buona volontà dell’alunno la sua formazione da autodidatta. Poi il Consiglio, composto da referenti scolastici, si potrebbe riunire e deliberare semplicemente se l’alunno è in grado o meno di continuare a studiare, ancora da solo, anche l’anno successivo! Avremmo risolto tutti i problemi della Pubblica Istruzione. Tutti i governi gioirebbero all’idea di poter risparmiare così tanti soldi per gli stipendi del personale scolastico, per le strutture scolastiche e le attrezzature.
Ma, parlando seriamente, i nostri ragazzi come vedono la cosa? Cosa pensano quando un 3 in una qualsiasi disciplina, o anche un 4, diventa 6? Cosa pensano quando questi eventi si verificano tutti gli anni, a prescindere da certe situazioni di oggettivo disagio? Probabilmente crederanno sempre meno all’importanza di conoscere e studiare con impegno! E beh se tanto mi dà tanto diventa stupido impegnarsi di più! Basta aprire bocca qualche volta durante l’anno, farfugliare qualche concetto all’insegnante ed è fatta! La Matematica non fa per me, la Chimica non fa per me, …; quindi, non la studio per partito preso. Tanto non la capirò mai! E poi è solo una materia, non mi possono bocciare per una sola materia. Ed è così che il popolo del “voto di Consiglio” avanza e cresce di numero sempre più. Se educare significa far emergere (dal latino: ex ducere = condurre fuori) le capacità, le competenze e le conoscenze disciplinari del discente e se questo compito è in grado di assolverlo solo l’educatore, cioè l’insegnante della disciplina, perché coinvolgere il Consiglio di classe nella valutazione di questo processo? Il Consiglio potrà, tuttalpiù, ratificare l’insufficienza e programmare il percorso di recupero.
La valutazione collegiale non sembra quindi rispettare la libera espressione professionale del docente, ne annulla gli sforzi didattico – educativi e crea, a questa figura professionale, un danno di credibilità agli occhi dei discenti, delle loro famiglie e dell’intera collettività. Essa limita fortemente la libertà di insegnamento togliendo dalle mani del docente uno strumento formativo indispensabile che è la valutazione secondo merito. È infatti attraverso la valutazione disciplinare che passano tanti principi educativi di rispetto degli impegni presi nei riguardi di sé stessi, dello studio e degli altri. Che il Consiglio tenga in considerazione le problematiche personali del discente è giusto perché esse possono influire negativamente sul processo di apprendimento.
È possibile così orientare gli sforzi educativi al fine di creare un ambiente didattico più favorevole per l’alunno in difficoltà. Ma la scelta finale di abbonare la disciplina con grave insufficienza va lasciata al docente della disciplina medesima. Nella prassi scolastica la normativa sopra ricordata ha introdotto una procedura valutativa anomala e senza un corretto fondamento logico – didattico. In essa si ravvedono degli elementi di incostituzionalità e dovrebbe essere abrogata.
Giuseppe D’Angelo
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