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Voto in condotta e sentenze del Tar, Galiano: “ci fidiamo ancora dei docenti? Vale ancora la loro parola?”

Nelle ultime due settimane ci sono stati due casi che hanno portato da una parte l’intervento del Ministro (la riduzione del 9 in condotta agli studenti che avevano sparato alla docente con pistola ad aria compressa), dall’altro quello del Tar che ha riammesso una studentessa agli esami, anche se poi è stata bocciata all’orale.

Su entrambi i punti l’opinione pubblica si è divisa. A intervenire è stato anche il prof e scrittore Enrico Galiano che ha fatto delle dichiarazioni al Librario.

Riportiamo integralmente il suo ragionamento.

Sono proprio quel tipo di notizie da piatto ricco mi ci ficco, da doppio carpiato collettivo di commenti, analisi, polemiche: prima il 9 in condotta al ragazzo che aveva sparato i pallini alla prof, poi la riammissione alla maturità della studentessa con cinque insufficienze, dopo sentenza del Tar.

Due fatti che non sembrano aver molto in comune – da un lato una faccenda di voti di comportamento e bullismo verso un’insegnante, dall’altra una di voti e basta. Però però, se uno guarda bene, un filo rosso le collega.

I professori di questi ragazzi avevano preso una decisione, ma quella decisione è stata poi screditata: l’una dall’intervento nientemeno che del Ministro, mosso a sua volta da un’ondata di indignazione pubblica, l’altra da un tribunale.

Esiti diversi, a quel punto: il ragazzo dei pallini ha visto abbassarsi il voto in condotta, mentre la ragazza della maturità è stata poi bocciata dopo l’esame. Ma tant’è: in entrambi i casi la decisione dei prof è stata messa in discussione e rivista.

A questo punto la domanda sorge spontanea: ci fidiamo ancora degli insegnanti? Vale ancora la loro parola, o la dobbiamo considerare come qualcosa di rivedibile, se non addirittura solo provvisoria?

La sensazione è un po’ quella di partecipare a un reality tipo 4 ristoranti, con l’apprensione del giudizio finale del conduttore, che può sempre “confermare o ribaltare la situazione”.

Solo che qui non c’è Alessandro Borghese: a volte è il Tar, a volte son genitori inferociti o ansiosi che ti stalkerano, altre volte il Ministro in persona.

Vien da chiedersi perché e come siamo arrivati a questo. Una risposta banale, certo non esaustiva ma un pochino vera sì, è che l’autorevolezza della figura del docente in questi ultimi anni ha visto una rapida curva discendente, corrosa da atteggiamenti sempre più invasivi da parte delle famiglie degli studenti.

Però non basta.

Forse è anche parte della mentalità italiana, dove i gradi di giudizio sono sempre molti, dove tutto è sindacabile e appellabile.

Forse, ancora, è un segno di un movimento molto più grande, di cui la scuola è solo un sintomo: la tendenza sempre maggiore a pretendere una voce in capitolo, a voler dire la propria opinione anche in campi dove non si hanno competenze (tendenza esacerbata dall’esplosione dei social).

Forse c’entra molto come è cambiato essere genitori oggi rispetto a trent’anni fa: c’è una maggiore protettività nei confronti dei figli, e molta più reticenza ad esporli a certe intemperie della vita come possono essere insuccessi e fallimenti.

Forse, infine, lo scetticismo di fondo è motivato dalla sensazione più che mai diffusa che nel corpo insegnante nazionale non ci sia ovunque qualità e competenza: a volte si presentano situazioni di oggettiva inadeguatezza – raramente, ma ci sono -, con i dirigenti che hanno le mani legate da un sistema di reclutamento piuttosto osceno (ricordiamo che è ancora quasi completamente basato sulle conoscenze della disciplina, e non sulle competenze umane e sulla motivazione).

Però questi episodi – magari pochissimi nel mare magnum di decisioni che tutti gli insegnanti prendono ogni anno – una domanda ce la lasciano, lì, in attesa di risposta: ci fidiamo ancora degli insegnanti?

Dato che la risposta non sembra essere un sì pieno – anzi – sarebbe meglio ricordare una cosina piuttosto importante: che a farne le spese più di tutti sono sempre i ragazzi e le ragazze.

Redazione

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