Il prof. e scrittore Enrico Galiano ha rivolto una lunga riflessione sul voto in condotta.
Sul Libraio il prof ha voluto porre delle domande provocatorie al Governo.
Ecco la la lettera integrale.
Oh, che bello vivere in Italia. Vivere, e soprattutto insegnare qui.
Questo è il posto dove ogni tanto – tre-quattro mesi circa, a spanne – qualche politico si mette davanti a un microfono e tutto tronfio dice: il passato è la soluzione! Tornare indietro, quando davvero c’erano i giusti valori e i ragazzi erano tutti sani ed educati!
Ovviamente scrosciano gli applausi, perché ci piace tanto credere che nel passato la scuola italiana fosse un Eden dove si studiava e si imparava davvero e dove, soprattutto, i ragazzini sì che portavano rispetto!
Certo, come no.
Prima è stata la volta di quella che diceva: torniamo al maestro unico! Poi c’è sempre chi ce l’ha fissa col crocifisso: quello serve, nelle nostre classi. Oppure l’editorialista straconvinto che la cattedra col predellino, è quello che li mette tutti al loro posto.
E immancabilmente, poi, arriva chi conosce bene la panacea di tutti i mali: il voto in condotta!
Poco importa se la scuola del passato era – più ancora di oggi – una scuola iniqua dove andava avanti solo chi partiva già avvantaggiato; cosa vuoi che sia, se in quella scuola i disturbi specifici dell’apprendimento manco si sapeva cosa fossero, e chi ne era caratterizzato veniva bollato come nullafacente pigrone scansafatiche; che ce ne cale, se in quel mondo là che tanto idealizziamo fenomeni come il bullismo o il disagio giovanile passavano inosservati, perché a scuola si veniva solo a imparare a leggere e far di conto.
Chiedetelo a noi insegnanti, se serve davvero il voto in condotta. Chiedetelo se è così che si guadagna autorevolezza nei confronti di studenti e genitori.
Forse qualcuno risponderà di sì, ma a quei (spero pochi) colleghi che la pensano così, e a tutti gli altri, voglio dire una cosa molto chiara: se hai bisogno di un voto in condotta per farti rispettare, sei un poliziotto, non sei più un insegnante.
No, non funziona così. E così non funziona.
Insegno alle medie, per cui: come no, li ho avuti anche io i ragazzi che non passava giorno senza che ne combinassero una; ovvio, a bizzeffe ne ho visti di maleducati, inclini al vandalismo, rissosi e chi più ne ha eccetera. Ma tutte le volte, tutte le sante volte che siamo riusciti a riprenderli, non è stato mai con la filosofia del bastone, né con quella altrettanto insidiosa dell’alternarlo alla carota: quando ci siamo riusciti, è perché li abbiamo fatti sentire protetti, a casa, perché li abbiamo valorizzati dando loro incarichi di fiducia, perché gli abbiamo fatto fare teatro, oppure sport, o musica.
Perché hanno compreso da soli che ci si sentiva meglio e si veniva più apprezzati, offrendo gentilezza e rispetto. Robe da pazzi, eh?
Ve la ricordate la lettera dell’insegnante accoltellata l’anno scorso ad Abbiategrasso? Ancora dolorante al braccio, diceva:
“Gli istituti in linea con i tempi sono quelli che spendono i soldi del PNRR per comprare robot di ultima generazione e visori 3D, mentre i laboratori teatrali e le attività musicali sono relegati in spazi opzionali e forse non riescono a raggiungere gli studenti che ne avrebbero più bisogno; nella scuola devono entrare sì le tecnologie, ma prima di tutto progetti di teatro, di affettività, di volontariato, di cooperazione, che inducano i ragazzi a entrare in relazione, ad ascoltarsi, a mettersi nei panni degli altri.”
Queste sono le cose che incidono davvero.
Solo che hanno un terribile difetto: costano. Risorse economiche, intellettuali, e soprattutto il rischio di abbandonare una forma mentis ancora troppo comune: che a scuola si venga solo per imparare cose e per comportarsi bene.
E infatti.
Sapete che cos’hanno in comune, sempre, tutte queste soluzioni di ritorno al passato? Che non serve mai sborsare un euro, per metterle in pratica. Anzi, spesso sono il preludio ai soliti tagli, come quello – con la mannaia, quella volta – proprio del maestro unico, che portò al più grande licenziamento di massa nel mondo della scuola dal dopoguerra in poi.
Che non richiedono un grande investimento intellettuale, anzi: concentrano tutto lo sforzo in quello della minaccia brandita come un’arma, senza spesso rendersi conto di quanto sia a doppio taglio.
Per cui no: il voto in condotta non aiuterà ad essere più autorevoli noi insegnanti.
Al massimo, a dire a tutti che ci è rimasto solo quello.