Attualità

Voto numerico o giudizio descrittivo? Ci vuole una regola chiara: si usa il voto quando governa il centro-destra e il giudizio con il centro-sinistra

L’annuncio della sottosegretaria Paola Frassinetti sull’intenzione di tornare al voto numerico nella scuola primaria non stupisce più di tanto chi si occupa di questo problema da alcuni decenni.
Quella del voto è stata sempre una questione nevralgica.
Da tempo immemorabile la ricerca pedagogica ha dato una risposta ma il tema ha rapporti stretti anche con le consuetudini, con i rapporti con le famiglie, con l’immaginario sociale e per questo non è di facile soluzione.
Fino al 1977 nella scuola elementare l’uso dei voti numerici era assolutamente scontato anche se già a partire dalla metà degli anni ’60 si era formato all’interno delle scuole un vasto movimento di docenti contrari al voto.
Con la legge 517 del 1977 i voti vennero così sostituiti dai “giudizi” e il sistema rimase in vigore fino al 2008 quando la ministra Maria Stella Gelmini fece approvare dal Governo un decreto legge con cui si stabiliva il ritorno al voto.
Clamoroso fu, all’epoca, l’intervento pubblico del ministro Tremonti che, con argomentazioni di scarso spessore scientifico, si impegnò a dimostrare che i voti servono a misurare con precisione l’apprendimento dell’alunno: “I numeri sono una cosa, i giudizi sono una cosa diversa – dichiarò il Ministro dell’economia nel corso di una intervista alla Padania passata alla storia –  I numeri sono una cosa precisa, i giudizi sono spesso confusi. Ci sarà del resto una ragione se tutti i fenomeni significativi sono misurati con i numeri… Un terremoto? È misurato con i numeri della scala Mercalli o Richter” e così via.

Dimenticando però che la scala Mercalli non ha caratteristiche metriche: un terremoto di grado 8, infatti, non è “il doppio” di una scossa di grado 4 e, come tutti sanno, un terremoto di grado 8 può avere effetti completamente diversi a seconda del territorio in cui si verifica.
Le regole introdotte dal Governo di centro-destra di cui facevano parte Gelmini e Tremonti rimasero in vigore fino all’anno scolastico 2019/2020.

Poi, nell’estate del 2020, con la Ministra Azzolina, nel decreto legge 104 viene inserita una norma che prevede l’abolizione del voto numerico e il passaggio ai giudizi descrittivi.
Adesso il Governo di centro-destra sembra intenzionato a tornare di nuovo al modello Gelmini-Tremonti.
Pare cioè che il voto numerico sia cosa di centro-destra, mentre il giudizio descrittivo sia appannaggio del centro-sinistra.
Premesso che non si comprende perché una questione squisitamente pedagogica debba essere affrontata con criteri di natura politica, ma, volendo portare il ragionamento alle sue estreme conseguenze potrebbe essere utile a questo punto una sorta di accordo politico che dica più meno così: “Gli strumenti di valutazione sono decisi in coerenza con gli orientamenti politici e culturali della maggioranza di Governo e quindi possono variare al cambio di maggioranza. Con governi di centro-destra si userà il voto numerico, mentre con governi di centro-sinistra si useranno i giudizi descrittivi”.
Sarebbe certamente la morte della pedagogia, ampiamente compensata però dalla coerenza complessiva del sistema scolastico. Le modalità di valutazione non dipenderebbero più dalla volontà del Ministro di turno ma sarebbero una conseguenza delle scelte degli elettori. Sarebbe tutto più chiaro e si eviterebbe di creare ansia nei docenti e nelle famiglie che saprebbero in anticipo se l’anno successivo alla consultazione elettorale si erano voti o giudizi.

Reginaldo Palermo

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