Come abbiamo scritto qualche giorno fa, la sottosegretaria all’Istruzione e al Merito Paola Frassinetti crede che nella scuola primaria bisogna tornare al voto numerico per valutare gli alunni, sostituito dal giudizio, che a suo avviso “ha creato solo confusione nelle famiglie, complicando il lavoro dei docenti”.
Insomma, si vuole in qualche modo abolire la riforma voluta dall’allora ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, che nel maggio 2020 ha eliminato i voti alla primaria con un’ordinanza. L’ex pentastellata, oggi dirigente scolastica dell’istituto comprensivo Biella 2, ha detto la sua a Fanpage.it, ribadendo il suo pensiero in merito.
“L’anno scorso ho avuto modo di confrontandomi con le maestre tutti i giorni, e abbiamo parlato anche della riforma che abbiamo introdotto quando ero a Viale Trastevere. Abbiamo voluto che alla scuola ci fossero i giudizi e non i voti per diverse ragioni. Quando si valuta un bambino, ma anche un adolescente, la valutazione deve essere formativa”, ha esordito con fermezza.
“Vuol dire che ai ragazzi bisogna insegnare e spiegare qualcosa anche quando si valutano. Per esempio, se un bambino sta imparando a fare le operazioni di calcolo, è possibile che il procedimento che applica è corretto, ma nel calcolo fa qualche errore. Se si dà un voto, per esempio un 7, quel numero, freddo, non dice nulla di cosa l’alunno ha sbagliato e di cosa ha fatto correttamente, e non è sempre oggettivo. Sappiamo che alla scuola secondaria ci sono per esempio insegnanti che danno voti alti più facilmente e insegnanti che sono più severi nell’assegnare un voto. Il numero dipende sempre dalla soggettività del docente che corregge un compito. È il numero secco di per sé non insegna nulla, non suggerisce allo studente come migliorare. Non dimentichiamoci che il compito dell’insegnante è sempre quello di incoraggiare i ragazzi, spiegare dove hanno sbagliato, in modo tale che in futuro non commettano più lo stesso errore”, ha aggiunto.
Azzolina difende la sua riforma
La Azzolina ha difeso strenuamente la sua riforma: “Con la nostra riforma viene spiegato esattamente al bambino cosa ha sbagliato e cosa ha fatto bene, e lo si fa con un giudizio scritto. Forse questo comporta più lavoro per gli insegnanti, perché si fa presto a mettere 6 o 7, piuttosto che prendersi del tempo per scrivere all’alunno indicazioni più precise sui compiti che ha svolto. Oggi vengono sottolineati nel giudizio, in modo analitico, i punti di forza e i punti di debolezza dello studente, cosa che con il voto numerico non si può fare. Il voto numerico non fa altro che fotografare una situazione. Il giudizio invece dà l’idea dell’accompagnamento, di un percorso che il bambino ha compiuto. È come se fosse una serie di fotografie”.
Ecco alcune battute sulla sua esperienza: “Quando siamo arrivati noi, la pedagogia sembrava sparita dalla scuola italiana, e invece è una disciplina fondamentale. In questo gruppo di lavoro ministeriale, guidato dalla professoressa Nigris, ho creduto molto e abbiamo lavorato a stretto contatto. Si parla tanto di ansie tra i bambini e i ragazzi, che il Covid ha indubbiamente ampliato. Ma per esperienza diretta da dirigente scolastico posso dire che ci sono oggi delle famiglie che la prima cosa che chiedono al figlio è che voto hanno ricevuto e quale voto hanno ricevuto i suoi compagni di classe. Come se la preparazione di un bambino possa essere ridotta a un mero numero. Come se la comprensione di un argomento o la possibilità di migliorarsi non esistessero. Il giudizio evita tutto questo, perché il bambino non studia per il voto, studia per capire esattamente come funzionano le cose, la scuola deve servire a risvegliare nei ragazzi curiosità e meraviglia”.
“Se ti voglio allenare ti devo spiegare cosa hai sbagliato. Anche un giudizio può essere negativo, ma va contestualizzato, chiarito. Altrimenti la scuola smette di essere una palestra di vita. Si rischia che un bambino si identifichi con il numero che gli è stato attribuito, e questo per lui potrebbe diventare una gabbia. Purtroppo è quello che succede spesso alle scuole superiori. Quando insegnavo alla scuola secondaria di secondo grado mi succedeva di mettere brutti voti, cosa che per me era un fallimento. Ma io spiegavo sempre ai miei ragazzi esattamente dove avevano sbagliato. E spesso li invitavo anche a fare un’autovalutazione, per assicurarmi che avessero consapevolezza”, ha insistito.
E, sul merito: “Io credo molto nel merito, venendo io stessa da una famiglia umilissima. Per me quindi la scuola è stata un ascensore sociale. Credo nel merito, nel fatto che un bambino si possa impegnare, ricevendo tutti gli strumenti di cui ha bisogno, per riuscire nella vita. Ma dobbiamo parlare del merito anche del personale scolastico, che deve essere formato, preparato, in grado di aiutare veramente gli studenti. E invece l’idea di merito di cui ho sentito parlare nell’ultimo periodo riguarda solo ed esclusivamente gli studenti”.
L’idea di Frassinetti
Queste le parole della sottosegretaria all’Istruzione e al Merito Paola Frassinetti, rilasciate a Il Fatto Quotidiano: “L’idea di tornare al voto o al giudizio tradizionale (insufficiente, discreto, ottimo) nasce dall’ascolto di tantissime famiglie che non comprendono appieno gli attuali giudizi così come anche di molti maestri e maestre. Non capisco quale sia il timore nel ripristinare una valutazione più chiara. Nella vita i voti arrivano in ogni caso inesorabili e abituarsi da bambini è un modo per prepararsi alle valutazioni future, certo con questo nessuno vuole drammatizzare il brutto voto ma far capire che c’è la possibilità serenamente di poter migliorare”.