Vox pubblica “Mappa dell’Intolleranza”, l’Osservatorio Italiano sui Diritti, in collaborazione con l’Università̀ Statale di Milano, l’Università di Bari Aldo Moro, Sapienza, Università di Roma e IT’STIME dell’Università Cattolica di Milano.
E dalla rilevazione relativa al 2020 emerge un allargamento dei target di odio online che riguarda alcune peculiari categorie di soggetti: le persone con disabilità (16,43%) che hanno ricevuto più tweet negativi di tutte le altre; le persone omosessuali (7,09%); gli ebrei (7,60%); le donne (43,70%) e gli islamici (19,57%).
Appare dunque evidente una maggiore radicalizzazione che riguarda un odio generalizzato contro le donne e soprattutto contro le donne più esposte come politiche e giornaliste, a cui fanno seguito i tweet contro i musulmani, i disabili, gli ebrei, gli omosessuale e i migranti.
Secondo la ricerca, l’odio “prende sempre più la forma di una radicalizzazione in circoli più chiusi e più estremi” dentro i quali si riversa “l’uso del lessico offensivo traslato rispetto al contesto di utilizzo originario”.
Ma pure “è evidente dai tweet negativi raccolti per la disabilità e l’islamofobia” che “le parole si gonfiano” cosicchè, osserva il Rapporto Vox, “si assiste a un generale impoverimento del lessico e uno spostamento del ragionamento per “bias cognitivi”, i quali “influenzano inevitabilmente i pensieri e le parole degli hater”.
Secondo il rapporto Vox, poi, “come sempre avviene nei fenomeni di radicalizzazione, è fuor di dubbio che ci sia una sorta di azione diretta di gruppi eversivi” che, come le cronache dimostrano anche con il fenomeno No vax, spingono all’odio. Si tratta pertanto “di un bisogno primitivo, non elaborato, ma riversato su gruppi che culturalmente rappresentano ciò che è considerato debole o inferiore”, quindi “di persone dal funzionamento psichico basato su dinamiche binarie: dentro-fuori, buono-cattivo, bianco-nero, uomo-donna, etero-omo. Persone, incapaci di fronteggiarsi con un panorama che muta e che per questo fa paura. Si grida di più perché si sa di essere di fronte a fenomeni e trasformazioni epocali che spaventano”.
Anche da qui l’incitamento all’odio online che è una specificità dei social non solo nella moltiplicazione, ma proprio nel fenomeno di creazione di gruppi chiusi a forte imprinting culturale, che è il fenomeno delle “echo chambers”, le cosiddette camere dell’eco o del riverbero mediatico in cui “le informazioni, le idee o le credenze vengono amplificate o rafforzate dalla comunicazione e dalla ripetizione all’interno di un sistema definito”. Uno spazio virtuale, che può essere occupato, usato e manipolato da chi ha interesse a diffondere panico e rabbia”.
In questo caso “gli psicologi parlano di ‘bias dell’ingroup’, di quegli elementi cioè che rafforzano i nostri pregiudizi. Vale a dire: se sono un terrapiattista e mi ritrovo in mezzo a una camera dell’eco con altri terrapiattisti, la mia visione del mondo non può che uscirne rafforzata. E io la rafforzerò, per poter far parte di quel gruppo”. In questo modo viaggiano i pregiudizi contro le donne, per esempio, le quali “non devono lavorare e si devono sottomettere. E contro gli ebrei untori da secoli. E contro i musulmani, che sono tutti terroristi”.
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