In Italia cambiare il proprio Comune di residenza è una prassi che accomuna più di un milione di persone l’anno.
Lo dicono un gruppo di ricercatori del Cnr, che hanno evidenziato i motivi e le caratteristiche di chi si sposta: si tratta, in prevalenza, di giovani studenti meridionali, spesso con alti voti alla maturità e di stranieri, disposti ai lavori più umili, come la raccolta della frutta nei campi.
Uno dei ricercatori, ha detto anche che le migrazioni interne sono strutturali nella nostra economia.
Un dato emerge, tuttavia, dallo studio: i flussi migratori non riguardano lavoratori “anta”. Cittadini con famiglia, bambini, anziani e mutui da pagare. Gente con affetti e radici salde. Persone adulte, insomma, per le quali lo spostamento rappresenta un vero sacrificio.
Quello che è, invece, stato chiesto a diverse migliaia di docenti, con le immissioni in ruolo derivate dalla Legge 107/2015.
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Nessuno li ha costretti, è vero. In 40mila hanno preferito rimanere nelle liste di attesa, le GaE, a fare i precari. Ma dire di no all’immissione in ruolo, magari dopo anni e anni di precariato, rappresentava quasi un oltraggio. Anche perché la “ruota” delle destinazioni, decisa poi dall’algoritmo ministeriale, si sarebbe potuta anche rivelare amica.
Invece, le cose per molti sono andate diversamente. In tanti hanno chiuso “baracca e burattini” e se ne sono andati, quasi sempre al Centro–Nord. Altri hanno lasciato la famiglia, sperando in un’assegnazione provvisoria.
Altri ancora si sono rassegnati. E forse non torneranno più a casa, se non per le vacanze. Incarnando, a quarant’anni e passa, lo spirito degli studenti. Quelli a cui sono chiamati ogni giorno a fare lezione.
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