Tra i diritti rivendicati vi sono quelli di chi ha avuto un incarico annuale su un posto vacante e che aspirava a un posto fisso o al riconoscimento degli scatti biennali; o ancora la ricostruzione di carriera e il riconoscimento delle nomine in scadenza il 30 giugno fino al 31 agosto.
Le organizzazioni sindacali della scuola e le varie associazioni di precari hanno sostenuto questa rivendicazione e hanno messo a disposizione i loro legali per patrocinare i ricorsi per lo più a titolo gratuito per gli interessati.
Ma tira aria di cambiamento, fors’anche per scoraggiare questa pratica, che si rivela anche una miniera inesauribile per studi legali e associazioni. Dopo il decreto legge sullo sviluppo economico che vorrebbe vietare la stabilizzazione dei precari, ora il nuovo decreto legge n. 98 del 6 luglio 2011 impone, infatti, il pagamento del contributo unificato (103 euro) per ogni ricorso a disoccupati, invalidi, precari e dipendenti del pubblico impiego che vogliono ricorrere contro il datore di lavoro o l’amministrazione. Soltanto nella scuola, più di 40.000 ricorsi sono in atto di deposito nei tribunali ordinari per richiedere la stabilizzazione dei precari, mentre, ad esempio, l’Anief sta per depositare altri 4.000 ricorsi al tribunale amministrativo contro il nuovo decreto di aggiornamento delle graduatorie, dopo i 15.000 patrocinati vittoriosamente nel biennio precedente.
Per effetto delle modifiche al Dpr 115/2002 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), introdotte dal c. 6 (Disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie) dell’art. 37 del nuovo D. L. (recante Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria): rispettivamente, nell’introduzione dell’art. 1bis al comma 9, si dispone che i ricorrenti che nel processo civile al giudice del lavoro nei confronti del datore di lavoro (l’amministrazione pubblica e privata) intentano un processo per controversie di previdenza (pensione) ed assistenza obbligatorie (invalidità), nonché per quelle individuali di lavoro (stabilizzazione, mancati scatti stipendiali, estensione dei contratti dal 30 giugno al 31 agosto, mobilità, errati punteggi nelle graduatorie ad esaurimento o d’istituto) o concernenti rapporti di pubblico impiego, le parti che sono titolari di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, superiore al doppio dell’importo previsto dall’articolo 76 (21.256,32 annui lordi da cumulare necessariamente con Irpef e con reddito dei conviventi o familiari), sono soggette, rispettivamente, al contributo unificato di iscrizione a ruolo nella misura di cui all’articolo 13, comma 1, lettera a), e comma 3,ovvero di 206 decurtate della metà (viste le modifiche introdotte con le lettere h) e p), cioè al pagamento di 103 euro per ricorso. Tale contributo è da pagare ai sensi della lettera s) anche per i ricorsi ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato. Anzi, diventa di 300 euro se si vuole l’esecuzione della sentenza o di ottemperanza del giudice o di 600 euro se si ricorre al Presidente della Repubblica (lettere a, b, c).
Insomma intentare ricorso d’ora in poi costerà. E non tardano a giungere i primi commenti. La giustizia è a rischio per i più deboli – dichiara il presidente dell’Anief, prof. Marcello Pacifico – che non potranno più difendersi nei tribunali, arrivando a stento a fine mese.
In effetti il dubbio sorge: la norma, introducendo una nuova tassa per reddito, neanche troppo velatamente, ha l’intento di bloccare sul nascere il contenzioso avverso l’eventuale abuso di potere, distrazione o discrezionalità del datore di lavoro, che per la scuola coincide con l’amministrazione pubblica, scoraggiando i ricorrenti?
D’altronde, a ben considerare, il reddito medio annuo lordo anche di uno dei 130.000 lavoratori (docenti e ata) precari della scuola (11 mensilità per 1900 euro lorde) che hanno le supplenze annuali o al termine delle attività didattiche, con il Tfr e la disoccupazione, supera di poco il limite reddituale imposto dalla nuova norma per essere esonerato dal versamento del contributo.
Insomma i possibili ricorsi, infatti, avendo nei processi civili e amministrativi un valore indeterminabile, saranno sottoposti al versamento della metà del contributo unificato previsto dalla lettera c), c. 1, art. 13 del modificato DPR 115/2002, cioè al pagamento di 103 euro. Inoltre costerà l’esecuzione di una sentenza o commissariare l’amministrazione inadempiente, come era successo per la questione coda-pettine delle graduatorie.
L’ultima speranza è che il Parlamento cancelli la norma durante la conversione in legge. La giustizia esiste solo per i più ricchi? La domanda di manzoniana memoria, si impone. Certo, da quando tutti si rivolgono ai tribunali e i ricorsi sono diventati pane quotidiano, si respira un’aria di democrazia, nonché qualche vantaggio per i numerosi sostenitori dei precari.
Staremo a vedere se i contenziosi aumenteranno o diminuiranno. Ai posteri l’ardua sentenza.