A nessuno parrebbe strano se una fabbrica d’armi tenesse nelle scuole corsi sull’educazione alla nonviolenza? Ebbene, all’Associazione Nazionale Presidi (ANP) non è sembrato strano qualcosa di analogo: un accordo con ENI per “formare” i docenti alla “sostenibilità ambientale”. In pratica una serie di appuntamenti in cui “esperti” di ENI “formeranno” i docenti italiani di ogni ordine e grado su quattro tematiche ecologiche (bonifiche ambientali, cambiamento climatico, efficienza energetica, rifiuti), previste nei prossimi programmi di educazione civica. La cosa però non è piaciuta al World Wide Fund for Nature (il celeberrimo e autorevole WWF, Fondo Mondiale per la Natura) che — proprio per questo motivo — il 29 gennaio scorso ha annunciato la sospensione unilaterale del percorso per un protocollo di intesa precedentemente avviato con l’ANP. Preoccupazioni analoghe erano state già espresse anche (come la stessa ANP ammette) da altre associazioni ambientaliste di rilievo: Greeenpeace, Kyoto Club e Legambiente.
«L’educazione ambientale», annuncia il comunicato ufficiale del WWF, «e la sostenibilità dei nostri stili di vita, elementi fondamentali nella formazione dei cittadini di domani, non possono prescindere da un ingrediente fondamentale: l’esempio», per questo, secondo WWF, occorre per le nuove generazioni una «corretta informazione sull’accelerarsi dell’emergenza climatica». Ed aggiunge: «La scelta dell’ANP, purtroppo, si presta a una operazione d’immagine e ha già prodotto un risultato estremamente negativo, caratterizzando con le polemiche un fatto epocale: l’arrivo della sostenibilità nei programmi scolastici. Proprio per questa ragione il WWF, che chiede all’associazione professionale e sindacale dei dirigenti scolastici un passo indietro rispetto all’accordo, ha deciso di sospendere il percorso avviato per la sottoscrizione di un protocollo di intesa».
Secondo WWF (e così la pensano anche le altre associazioni ambientaliste), ENI è troppo coinvolta nella produzione e commercializzazione di combustibili fossili per poter dare lezioni di ecologia: «Un’azienda che certamente potrebbe e dovrebbe cambiare il proprio business model per puntare sul carbonio zero e così contribuire alla lotta al cambiamento climatico, ma che attualmente non si è nemmeno fissata obiettivi lontanamente ambiziosi e che quindi non ha alcun titolo per “salire in cattedra”». Sarebbe stato meglio — rincara il WWF — rivolgersi ad enti più credibili — come ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) o CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), enti pubblici di ricerca, e non multinazionali con fini di lucro — che producano ricerche apprezzate dalla comunità scientifica: quella stessa comunità scientifica che «critica proprio i combustibili fossili come i massimi responsabili dell’aumento di concentrazione di CO2 in atmosfera, causa dell’aumento dell’effetto serra naturale e, quindi, del surriscaldamento globale e della crisi climatica».
Vale qui ricordare che Eni S.p.A. (al secolo “Ente Nazionale Idrocarburi”, nata nel 1953 come ente pubblico allora presieduto dal grande Enrico Mattei), è dal 1992 — l’anno in cui cominciò la svendita dei “gioielli” dello Stato italiano ai miliardari privati — una multinazionale energetica (ancorché controllata dallo Stato italiano per più del 30%), forse la maggiore d’Europa per il mercato di gas naturale (ed il metano è il gas serra più potente). In seguito ad un accordo del 2007 col colosso petrolifero russo Gazprom, Eni estrae idrocarburi anche in Siberia (una delle ragioni più devastate dal surriscaldamento globale, ove il prossimo scongelamento del permafrost rischia di liberare nell’atmosfera immense quantità di metano, che accelereranno il riscaldamento globale). L’accordo è stato rinforzato nel 2011. Tutto ciò rende ENI una delle aziende più ricche e potenti del pianeta: un pianeta che si sta rapidamente surriscaldando proprio per garantire i profitti delle multinazionali.
Pertanto non può non lasciare perplessi l’idea che ANP voglia far “formare” i docenti sulla crisi climatica da una grande multinazionale che basa i propri miliardari profitti sui combustibili fossili. Qualcosa che non torna c’è. Come ci sarebbe se il Gruppo Cremonini (uno dei maggiori produttori europei di carni bovine) si facesse promotore nelle scuole dell’educazione al veganismo. O se col marchio Ferrero venisse sponsorizzata una campagna contro l’abuso di merendine. O se un’azienda leader nella produzione di whisky tenesse lezioni alle maestre su come insegnare ai fanciulli l’uso responsabile dell’alcol.
C’è poi un altro aspetto inquietante ricavabile da questa vicenda: aumenta sempre più la propensione di aziende ed enti vari a fare della Scuola un’agenzia di propaganda del proprio marchio. Tutti si sentono autorizzati a “formare” i docenti. Quasi che i docenti fossero diventati puri trasmettitori di saperi altrui, di competenze altre, di visioni della realtà estranee ai propri valori, alla propria storia, alla propria cultura, alla propria funzione. La Scuola viene sempre più vista come cinghia di trasmissione del punto di vista dei forti e di chi mette i denari.
Ma è questa la finalità che la Costituzione assegna all’istituzione Scuola? E dove è finita la libertà d’insegnamento? Qualcuno tra i docenti è ancora disposto ad alzare la voce per difenderla, nel nome dell’interesse della collettività nazionale?
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