Ieri, 15 aprile, l’attrice statunitense di fama mondiale Zendaya è stata ospite di Fabio Fazio all’interno del programma “Che Tempo Che Fa“, in onda sul Nove. Durante l’intervista c’è stato modo per parlare di un tema che ha acceso il dibattito: i film e le serie televisive in lingua originale.
Il conduttore Fazio, infatti, ha spiegato alla star 27enne che noi in Italia, rispetto ad altri Paesi, non siamo abituati a vedere i prodotti cinematografici in lingua originale con i sottotitoli. Al contrario, abbiamo una grande tradizione di doppiaggio.
Sottotitoli o doppiaggio?
Gli spettatori del programma, su X, hanno iniziato a dire la propria sul tema. C’è chi dice che, grazie ai sottotitoli dei film e delle fiction, ha imparato l’inglese in un modo che sarebbe stato impossibile tra i banchi di scuola.
“Io ho un livello accettabile di inglese solo grazie ai prodotti in lingua originale perché se dovessi basarmi sulla scuola italiana sarei a the cat is on the table”, ha detto un’utente, ex studentessa.
Dall’altra parte c’è chi solleva altre questioni: “Premetto di aver studiato lingue all’università, proprio per questo sono dell’idea che non tutti posseggono le competenze linguistiche tali da poter guardare e comprendere un film in lingua originale. Tra l’altro in Italia abbiamo scuole di doppiaggio che all’estero si sognano”.
“Vi odio quando sminuite il doppiaggio, c’è chi studia anni per quel lavoro e tantissimi doppiatori italiani sono incredibili, non è che se uno non guarda le cose in lingua allora è stupido o pigro, per di più ci sono persone che hanno difficoltà a seguire i sottotitoli”.
fazio:”noi italiani non siamo abituati a guardare i film in lingua originale”
— g🍉 (@zendayal0vebot) April 14, 2024
LA SUA FACCIA PER FAVOREE pic.twitter.com/JFmBrwFUc2
Insegnamento dell’inglese a scuola, da rinnovare?
Qualche giorno fa è tornato ancora una volta alla ribalta il dibattito in merito all’insegnamento della lingua inglese nella scuola italiana, da molti giudicato povero e assolutamente inadeguato. A sollevarlo è stato un post su X.
“Frustrante sapere che la scuola italiana normalmente t’insegni un inglese che poi, una volta in cui vai all’estero anche per una settimana, non ti serve a niente perché non hai solide basi per poter riuscire a costruire un discorso utile in molte situazioni. Che non siano neppure in grado di spiegarti come relazionarti con qualcuno, avendo necessità di chiedere qualcosa che magari normalmente all’estero magari non chiederesti solitamente (tipo una medicina, un informazione su un evento, un espressione da usare con un ufficiale)”, questo il contenuto del post.
Insegnamento dell’inglese a scuola, i dati
È molto difficile trovare un cittadino italiano che nega l’importanza di conoscere e parlare bene la lingua inglese, soprattutto quando si proietta la sua utilità in ambito lavorativo: a confermarlo sono i risultati di una ricerca commissionata da Pearson, editore nel settore education, a Bps Insight, da cui deriva che il 91% degli italiani si dichiara consapevole che l’inglese gioca un ruolo determinante per la propria vita lavorativa. In pratica, la conoscenza della lingua è considerata un vero e proprio fattore di empowerment, soprattutto per le donne per cui la lingua d’Oltremanica diventa un’importante leva per superare determinati gap.
Sul piano pratico, però, sono pochi a dare seguito tale certezza: il 64% degli intervistati ha dichiarato, infatti, di avere imparato l’inglese esclusivamente a scuola, con un percorso medio durato 6,6 anni.
Sempre in Italia, il 23% che ha imparato l’inglese sia a scuola sia all’università. Poco più della metà degli italiani (55%) afferma di aver raggiunto un buon livello di inglese attraverso l’istruzione formale contro il 45% globale.
Nella nostra Penisola, come in altri mercati, l’ostacolo più significativo all’apprendimento dell’inglese è la mancanza di tempo (39%), seguita dal divario tra istruzione formale e requisiti sul posto di lavoro (34%) e limitate opportunità di praticare (32%). Non è un caso che la classificazione di “inglese scolastico” corrisponda a una conoscenza della lingua di livello minimo.
La ricerca – condotta, oltre che in Italia, in Arabia Saudita, Florida, Giappone e Brasile – serviva a “sondare” l’impatto della conoscenza della lingua inglese come carburante per una vita migliore a 360 gradi.