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Zingaretti si dimette da segretario del PD: “mi vergogno, si parla solo di poltrone”. I vertici dem: rimanga al suo posto

Un altro terremoto nel Pd, il partito che più di tutti nell’ultimo decennio ha lasciato il segno nella scuola, con la Legge 107 del 2015: il 4 marzo Nicola Zingaretti ha annunciato di volersi dimettere da segretario. Una decisione inattesa, ma che lo stesso Zingaretti su Facebook reputa indispensabile per lo “stillicidio” che nel partito “non finisce”.

Italia in difficoltà, il bersaglio sono io…

Le parole di Zingaretti – giunte all’indomani della pubblicazioni dei sondaggi che indicano il Pd in perdita di 4-5 punti percentuali, gli stessi che avrebbe recuperato il M5S – sono molto dure: “Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”.

Poi aggiunge: “Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità. Nelle prossime ore scriverò alla presidente del partito per dimettermi formalmente. L’Assemblea nazionale (prevista per il prossimo 13 marzo, n.d.r.) farà le scelte più opportune e utili”.

“Non ci si ascolta più”

Secondo Zingaretti, “dovremmo discutere di come sostenere il governo Draghi, una sfida positiva che la buona politica deve cogliere. Non è bastato. Anzi, mi ha colpito invece il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto”.

Non ci si ascolta più e si fanno le caricature delle posizioni. Ma il Pd non può rimanere fermo, impantanato per mesi a causa di una guerriglia quotidiana”, conclude l’ex segretario.

Tutti stupiti

La notizia ha colto di sorpresa i vertici del partito: L’ex premier Enrico Letta si dice “colpito” ma anche “un attimo perplesso da quanto sta accadendo”.

Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, pensa ricucire: “il gesto di Zingaretti impone a tutti di accantonare ogni conflittualità interna, ricomponendo una unità vera del partito attorno alla sua guida”.

Secondo Francesco Boccia, ex ministro degli Affari Regionali, “grazie alla sua guida il Pd è uscito da uno dei periodi più bui della sua storia. L’assemblea lo confermi”.

Anche il capogruppo del Pd alla Camera, Graziano Delrio, auspica che “rimanga alla guida del partito”.

Sgambato parla di tweet al veleno

Sulla stessa lunghezza d’onda si trova Camilla Sgambato, componente della segretaria nazionale del Partito Democratico con delega alla Scuola.

Commentando le dimissioni da segretario di Nicola Zingaretti, la Sgambato auspica “davvero che l’Assemblea le respinga, fortificando un segretario eletto solo due anni fa con una maggioranza larghissima, ereditando un partito isolato, arroccato su posizioni autoreferenziali”.

“Comprendo lo sfogo di Zingaretti”, perché “se non dimostriamo di essere in grado di lottare per le nostre storiche battaglie, riaffermando la nostra identità, nel momento in cui siamo impegnati sul fronte del lavoro, della campagna vaccinale, della salute, delle scuole, ecco che sono spuntate logoranti e degradanti attacchi interni di chi dimostra di essere scollato dalla realtà e dai bisogni reali della gente”.

Sgambato parla di “comunicati, post su Facebook e su Twitter al veleno che prendono il posto dei luoghi deputati alla discussione, come la direzione in cui si è votata la linea del segretario all’unanimità”.

La responsabile Scuola del Pd sostiene: “Discutiamo pure, ma dove e come si deve, e soprattutto approfonditamente. Non nello spazio di un tweet usato come arma per campagne di odio. E facciamolo sui temi che interessano le nostre comunità, recuperando lo spirito di un partito autorevole, plurale, riformista”.

Le respingeremo le dimissioni del nostro Segretario, l’intera comunità del Pd ci chiede di farlo e noi non possiamo che ascoltare la voce della base e delle democratiche e dei democratici”, conclude Sgambato.

Alessandro Giuliani

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