Zoom, l’app per videoconferenze, è diventata bersaglio prediletto dei pirati del web: diverse le segnalazioni di utenti intrufolati nelle videocall per diffondere immagini violente o pornografiche, messaggi razzisti o antisemiti. È il cosiddetto “Zoom Bombing” che ha preso di mira soprattutto insegnanti e studenti impegnati nelle lezioni a distanza.
Si chiama Zoom bombing una pratica che consiste nel partecipare a riunioni virtuali alle quali non si è stati invitati al fine di creare confusione, spiare le conversazioni altrui, incitare all’odio o registrare i flussi audio-video per poi diffonderli senza alcuna autorizzazione sui social.
L’applicazione ha iniziato ad essere bersagliata da numerosissime segnalazioni in rete, di cui la più recente e gravosa è quella inerente la University of Texas, ad Austin, la quale durante una videoconferenza organizzata dall’Herman Sweatt Center for Black Males, in favore degli studenti afroamericani, ha subito un attacco sotto forma di immagini razziste inserite appositamente. Proprio a causa di questi sviluppi, l’FBI e il procuratore generale di New York hanno deciso di aprire un’inchiesta, analizzando i problemi di cui soffre l’applicazione e intimando, all’azienda che la gestisce, di risolvere la più presto le falle di sicurezza presenti nella piattaforma.
Per scongiurare l’ingresso di utenti sconosciuti all’interno delle proprie lezioni online, è fondamentale proteggere ogni videoconferenza con una password (spuntare la casella Require meeting password). Zoom consente all’host ovvero a colui che ha creato la riunione di attivare una sorta di “sala d’attesa”. Questa funzione impedisce agli utenti di entrare in riunione senza essere prima espressamente approvati. Agendo sul pulsante Manage partecipants, l’host può decidere quali utenti possono attivamente partecipare alla riunione.
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